giovedì 31 maggio 2012

I RESTAURI “DI LU MUNTI”


Oggi si conclude il mese Mariano. Un affettuoso saluto a Don Alberto e Don Gennaro che hanno accompagnato, per tutto il mese, nella preghiera i fedeli.
Di seguito, alcuni cenni di storia recente circa i restauri del Santuario della Madonna del Monte.
L’anno 1952  ad opera del sac. Salvatore Farrauto, nominato delegato Vescovile del Santuario Madonna del Monte da S.E. Mons. G.B. Peruzzo, Arcivescovo – Vescovo di Agrigento, con bolla del 1 gennaio 1952, avendo rinunciato il rettore sac. Francesco Petrone, perché ammalato, venne dorata e restaurata a cementite la prima metà del Santuario e cioè l’artistica custodia della Madonna, il cappellone, i muri dal pavimento al soffitto con la cupola.
Ciò venne eseguito con le offerte raccolte da devote persone con a capo il sac. Petrone, sia a Racalmuto che in America, dal gennaio 1950 al dicembre 1951 e con altre, procurate dal suddetto sacerdote,  il quale mise anche del suo. Così il 20 settembre 1952 si effettuò l’esecuzione di una  parte del progetto di restauro, da anni desiderato, del Santuario. Tale restauro fu eseguito dalla ditta Paolo Triolo di Palermo.
Verso la fine di febbraio 1953 il suddetto delegato, fece sostituire l’altare maggiore di legno, logorato e tarlato, con un artistico altare di marmo, eseguito dal prof.  Meschino di Caltanissetta.
Lo stesso anno, precisamente nei mesi estivi, il sac Farrauto ideò e fece eseguire il livellamento del suolo del Santuario. Sotto l’arco di centro un gradino divideva il pavimento della Chiesa in due livelli, con impedimento della visuale per coloro che sedevano nelle file posteriori. Con il livellamento si aggiunse un secondo gradino a quelli già esistenti dell’altare maggiore e la visuale si rese ottimale per tutti.
Sotto lo scavo fu rinvenuta una cappella funeraria di metri 10 di lunghezza  e metri 4 di larghezza; vi si accedeva scendendo una scala che dall’arco di centro arrivava sotto l’altare dell’Immacolata e si prolungava fin sotto l’altare di San Francesco di Paola. Forse tale cappella serviva per i funerali prima di seppellirvi i morti. Essendo di nessun valore artistico, il delegato, prof. Grillo, inviato dal Sovrintendente ai monumenti di Palermo, ordinò si chiudesse l’accesso dal pavimento.
Bisognava intanto completare la doratura e i restauri della seconda metà del Santuario. Il sac. Farrauto ne intraprese l’opera, tanto più che, dopo sue richieste ai devoti del paese  e ai compaesani d’America, Canada, Belgio e altri paesi, arrivarono delle offerte.
Nel luglio del 1954 iniziò una sottoscrizione nel paese che diede buoni risultati, si aggiunsero anche  le offerte precedentemente ricevute dal 1953 a giugno 1954, nonché l’offerta  del comitato “Festeggiamenti Madonna del Monte” di Racalmuto. Si potè così effettuare il restauro completo e la doratura dell’altra metà del Santuario.
La costruzione del grande ponte venne eseguita, come per la  volta precedente, dalla ditta Vincenzo Macaluso di Racalmuto, con travi e tavole prese in affitto dal Delegato prof. Grillo e i lavori di doratura e restauro furono sempre eseguiti dalla ditta Paolo Triolo di Palermo. I lavori iniziati a metà settembre, terminarono il 20 novembre 1954.
L’11 dicembre 1954, a conclusione dell’anno Mariano e dei festeggiamenti per il Santuario restaurato, S.E. Mons Francesco Fasola, Vescovo coadiutore di Agrigento, consacrò l’altare maggiore con l’Olio dei Catecumeni e del Santo Crisma, ponendo nel sepolcreto della mensa una piccola pergamena commemorativa e le reliquie dei Santi Martiri Nino e Vito.


                                                                                                          Enzo Matrona
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mercoledì 30 maggio 2012

LE RICETTE DI RURU’ – “ LI MPIGNULATI”


Li mpignulati sono quelle che oggi definiremmo “il salato”. Rappresentano uno spuntino sostanzioso che racchiude profumi e sapori di una Racalmuto antica. Si usava, allora, prepararle in casa e, chi non possedeva un forno, le portava a cuocere dai fornai.

INGREDIENTI

Per la pasta:
kg 1 di semola rimacinata di grano duro
1 cubetto di lievito di birra
5 cucchiai di olio extravergine di oliva
Sale q.b.

Per il ripieno:
kg 1 e ½ di salsiccia di maiale
kg 2 di cipolle
600 gr di olive nere denocciolate
300 gr di pecorino grattugiato
Pepe
Sale q.b.
Olio extravergine di oliva

Sciogliere il lievito in poca acqua tiepida. Amalgamare farina, olio e sale e dopo aggiungere il lievito sciolto nell’acqua . Lavorare fino a quando il tutto risulta liscio e compatto. Sudduvidere l’impasto in panetti di circa 100 gr ciascuno e lasciare riposare per un’ora.
Nel frattempo sbucciare le cipolle, tagliarle a listarelle e friggerle in un tegame con l’olio.
Stendere i panetti col mattarello e ricavare delle sfoglie rotonde e sottili qualche millimetro.
Passare dell’olio su ogni sfoglia e sistemarvi sopra la cipolla stufata, la salsiccia cruda a tocchetti, le olive nere e spolverare col pecorino grattugiato. Salare e pepare.
Arrotolare la sfoglia inglobando il ripieno in modo da ottenere una spirale. Chiudere l’estremità sistemandola al di sotto della spirale.
Sistemare “li mpignulati” in una teglia e cuocere in forno a 180° per circa trenta minuti.


E…..BUON APPETITO DA RURU’





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martedì 29 maggio 2012

Grazie a Patò


Mi raccontava mio padre, come fosse una favola, che un tale di  nciùria “Beddramatri” , scampato miracolosamente alla campagna di Russia, una volta ritornato in paese,  volle impiantare un vigneto in contrada Fico, al confine con Grotte, e per scavare certe conche adatte a collocarvi vitigni americani ingaggiò cinque braccianti. Scese di mattino presto nella Piazzetta, scelse gli uomini più robusti, pattuì il prezzo e se li portò in campagna.
Mentre costoro, con picconi e pali di ferro, scavavano l’ennesima buca, venne fuori dal terreno concavo un rumore secco, di quartara rotta, quasi impercettibile. Il rumore fu captato da chi aveva udito fine, acuito in guerra dalle insidie e dagli agguati.
-  Basta, picciotti, - disse di colpo Beddramatri con voce allarmata, - potete andarvene a casa.
-         Perché?  non è contento del nostro lavoro!?
-         Contentissimo.
-         E allora perché dobbiamo smettere? - obiettò un lavoratore. - Non sono ancora le cinque-
fece notare un altro. – Almeno, completiamo la buca che abbiamo tra le mani – disse un altro ancora. 
-         No, non c’è bisogno, - ribatté deciso il padrone, - per oggi avete scavato
abbastanza -.  E li rassicurò: - Non vi preoccupate, vi pagherò la giornata sana.
            Patò, ch’era un ingenuo, non capì perché dovesse smettere di lavorare prima che il sole tramontasse e incominciò a ripetere: - A jurnata rrutta, no. A jurnata rrutta, no.  
Gli altri giornatari non protestarono, rassicurati che la giornata sarebbe stata pagata per intero,
però si insospettirono della inconsueta magnanimità del tirchio Beddamatri, fecero finta di avviarsi a casa, sotto lo  sguardo vigile del padrone, e appena poterono  si nascosero dietro un macchione. 
Il proprietario del terreno, vistosi solo, finalmente, si mise a scavare di lena la buca lasciata a metà, fino a quando  estrasse dalla buca una quartara terrosa con la pancia bucata da un colpo di piccone, l’alzò al cielo quasi fosse l’ostia consacrata, la capovolse e tintinnarono sul terreno  monete luccicanti.
-         Marègni! – esclamò Beddramatrri.
-         Marègni d’oru!  - esclamarono, da dietro il macchione, i giornatari che avevano assistito
furtivamente alla scena. Con un balzo uscirono allo scoperto e, come fosse un loro diritto, reclamarono la loro parte.
            Colto di sorpresa, Beddramatri reagì male perché si sentì tradito e disobbedito. Di spartire il tesoro, manco a parlarne! Era suo, perché suo era il terreno in cui era stato trovato. Dopo un estenuante battibecco, per tacitare la cosa, si mise d’accordo con i testimoni, avrebbe ceduto alcune monete in cambio del silenzio.
Cercò, a parte, di prendere in giro Patò, ritenuto universalmente  babbeo, regalandogli pochi spiccioli delle lire correnti, invece dei marègni ritrovati che marenghi in realtà non erano anche se come l’oro luccicanti. Patò nella sua dabbenaggine abbozzò, ma una volta arrivato in paese corse difilato in caserma dove spifferò tutto ai carabinieri.
-         Ma quanti erano, questi marègni? – chiese il maresciallo.
-         Assai assai – fu la risposta, e siccome Patò non sapeva i numeri in astratto,  disse : -Prendi
le fave.
Il maresciallo si procurò le fave e ne rovesciò quattro pugni sul tavolo.  Patò, con l’indice
teso, fece scivolare in un angolo tante fave quante erano le monete ritrovate e suddivise tra il proprietario e i suoi compagni di lavoro.
– Bravo! – esclamò compiaciuto e un po’ divertito il maresciallo, battendogli la mano sulla spalla, e sottrasse una fava tra quelle accantonate. Patò se ne accorse e credendo che anche quella fava fosse preziosa come i marègni della quartara, si mise a strepitare finché non fu rimessa al suo posto. – Bravo! – ripeté  il maresciallo, questa volta poco compiaciuto e per niente divertito. Tante fave quanti i marègni! Né una di più né una di meno. E lasciò andare Patò.      
Non molto tempo dopo, a Beddramatri,  proprio  per la sua ingordigia, venne requisito il tesoro rinvenuto, dopo averlo fatto cantare in caserma, come si disse in paese,  a suon di bastonate. Venne recuperata anche la parte data ai braccianti.  
Nè iu né nuddu, - andava saltellando contento il babbeo Patò nella deserta Piazzetta.
Le monete racalmutesi, di epoca bizantina,  risalenti  ad Heracleone, storicissimo imperatore d’Oriente (641-645) a cui venne tagliato il naso, furono trasferite al Museo archeologico della Valle dei Templi dove andarono ad arricchire  il monetario che ha ricevuto e riceve tutt’ora visitatori da tutto il mondo. 
Va detto. Grazie alle fave di Patò.


Piero Carbone





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lunedì 28 maggio 2012

TUTTA COLPA DELLA GAZZANA


La domenica mattina è l’unica giornata in cui posso bighellonare per casa, tralasciando ogni impegno lavorativo e organizzativo della normale conduzione casalinga. Mi diletto, soprattutto, a leggere o a pensare a fatti o persone a me gradevoli. Ieri, la mia attenzione era concentrata, come spesso mi accade, su Racalmuto e, più precisamente, sulla casa di mia nonna, nel quartiere sant’ Anna. La costruzione si sviluppava in tre livelli, al piano terra il magazzino, al primo la zona giorno e la camera dei miei nonni, al secondo un locale con un terrazzino, che dopo molti sforzi, riesco a trovare il vocabolo che lo definiva: “l’àstracu”. Nell’anticamera, che precedeva l’alcova, dove trovava alloggiamento il letto dei miei nonni, in una parete, era ricavata una rientranza con delle mensole, chiusa con due sportelli in legno; poteva confondersi con una porta. Pensandoci, sapevo per certo che quella struttura avesse un nome ben definito nel dialetto racalmutese. Ma, benché mi sforzassi di ricordare, non riuscivo a farlo affiorare alla mia mente. Quale migliore occasione per chiamare l’amico Enzo, sempre gentile e disponibile, dalla spiccata appartenenza racalmutese e chiedere lumi? Questi, dopo vari tentativi e descrizioni con nomi di tutto l’arredo antico, azzarda un termine: “la stipa”. Non convinto, lo saluto,  sempre più certo che Enzo si intenda più di fatti, preghiere e miracoli “di la Beddamatri di lu Munti”, che di suppellettili e arredi vari. Penso di fare un altro tentativo e chiamo Totuccio, lui sì, dovrebbe saperlo! Niente da fare, lo sento disorientato e impreparato. Ma la telefonata non è stata vana, Totuccio mi suggerisce di chiamare Piero. Idea illuminante! Chi meglio di un fine studioso, profondo poeta dialettale, conoscitore delle tradizioni e dei vocaboli racalmutesi, potrebbe sapere ciò che arrovella il mio cervello?. L’ora è già quella del pranzo, rischio di disturbare, ma la voglia di sapere subito mi fa vincere la ritrosia. Risponde Piero, in effetti è seduto a tavola, davanti a lui un piatto di cavati fumante….. suscita la mia invidia. Faccio la mia domanda e Piero, con voce pacata risponde: “la gazzana”. Ringrazio velocemente, mi scuso per l’ora e chiudo. Rifaccio il numero di Totuccio per comunicargli il termine. Soddisfatta la mia curiosità, pensavo fosse finita qui. Il pomeriggio, squilla il mio cellulare, dall’altra parte, sempre Totuccio mi dice: “mi trovo sotto un pino”…Non fa in tempo a finire la frase che io esclamo: “sei allo Zaccanello, a casa di Piero!” In effetti è così, stanno sorseggiando un caffè, due amici,  la gentilezza, l’ospitalità e la saggezza di Piero, l’allegria e la simpatia di Totuccio, il profumo della mia terra. Ci salutiamo, promettendo di ritrovarci l’estate, sotto quel pino. Poggio il capo sul cuscino del divano, chiudo gli occhi, rivedo i luoghi, sento il profumo di un pomeriggio di primavera inoltrata che sale su per le narici. Un tenero, nostalgico sorriso affiora sulle mie labbra. Tutta colpa della gazzana.

Racalmutese Fiero

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sabato 26 maggio 2012

TERZO TEMPO - Sport, educazione, legalità.


“Qualunque sport si pone come obiettivo la crescita armonica non solo del fisico, ma anche della personalità dell’individuo, della sua sfera emotiva e sociale”. Praticare uno sport offre l’opportunità di socializzare con altri, insegna a ‘lavorare’ insieme per un progetto comune e a rispettare le regole del gioco. Ma insegna anche ad aver rispetto per sé stessi e per gli altri, non sentirsi invincibili di fronte ai compagni solo perché si riesce bene nella pratica sportiva e a non sentirsi degli sconfitti solo perché si è più lenti degli altri”.


Il palazzetto dello Sport , lo stadio, la partita di calcio, diventano occasioni di aggregazione ed incontro e nelle quali diventa importante essere presenti con un messaggio volto a promuovere appunto la cultura della legalità, della competizione leale, dei valori , della tolleranza.
Oggi si apprende che  una delle tante attrezzature sportive del paese, ancora non collaudata e perciò non in uso, pertanto abbandonata al degrado, è stata sfregiata dall’ ennesimo atto vandalico. Racalmuto è piena di infrastrutture sportive e di svago regolarmente abbandonate e devastate dal vandalismo. Forse i giovani racalmutesi non essendo stati educati allo sport ed abbandonati a se stessi non avvertono quel sentimento di rispetto verso quelle strutture anche  esse abbandonate a se stesse. Una struttura sportiva dove non si pratica lo Sport è un qualche cosa privato dall’anima. Appunto un'  anima morta. Un' infrastruttura abbandonata, che non è usata per il fine per cui è stata realizzata, è un' opera dissacrata. Moravia: “tutto ciò che è dissacrato automaticamente viene violentato”. Pertanto quando c’è una caduta dei valori tutto è in pericolo, financo la vita stessa è in pericolo quando questa è stata dissacrata. Ed allora è colpa dei giovani se non praticano lo Sport? E’ colpa dei giovani se sfogano la loro apatia e lo stato di abbandono con il vandalismo? O dobbiamo adoperarci per educali allo sport alle regole ed affinché possano capire che c’è lo sport e ci può essere anche un  “Terzo Tempo”  fatto di regole e di  legalità.
Rivolgendomi all’amico Gaetano Savatteri, per la sensibilità che lo contraddistingue e per l’affettuosa attenzione che ha sempre riservato al paese di Racalmuto, gli prospetto l’idea di poter affidare la gestione delle strutture sportive ad una associazione al fine di preservarle dall’abbandono e dall’incuria e con il compito di promuovere lo sport di qualsiasi disciplina.
L’attuale abbandono delle strutture sportive può avere due spiegazioni, o per semplice negligenza o un’ incuria voluta al fine di sfasciarli per poi ricostruirli con nuovi appalti. La seconda ipotesi mi fa venire in mente l’aneddoto del Mastro Muratore Racalmutese ,mezza cazzola, una buona forchetta e buon bevitore di vino, che si arrangiava a fare piccoli lavori in famiglie benestanti. Questi quando era chiamato per riparare una “Vuttera” sapeva già dove mettere le mani, si perché la Vuttera ovvero il foro nel canale (tegola) lo aveva preparato lui e tappato con un po’ di gesso, alle prime acque il gesso si scioglieva e penetrava l’acqua nel soffitto.(la Vuttera).
Il Mastro Muratore tappava il foro del canale con il gesso e lo spostava in un'altra parte del tetto in attesa della prossima pioggia. Un giorno è stato chiamato per riparare l’ennesima  e benedetta “Vuttera”  ma il Mastro muratore stava male ed allora mandò per la riparazione il figlio. Il ragazzo appena visionò il tetto e si accorse che c’era una tegola forata si meravigliò e si chiese come mai il padre non se ne fosse accorto prima. Tolse la tegola forata, la sostituì ed il problema si risolse definitivamente, per il proprietario ovviamente. Al ritorno a casa il ragazzo raccontò il tutto al padre e quando questi apprese che il figlio aveva tolto il canale forato esclamò: “Scimunitu, finisti di mangiari pisci”.  

Racalmuto,lì 26.05.2012
                                                                                                Ignazio Scimè

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venerdì 25 maggio 2012

Il bel canto e la macchina parlante


Nel 2007, tranne lo spettacolo di chiusura del corso di recitazione tenuto da Enzo Toto ancora sotto la gestione Di Pasquale,  non c’è stata stagione teatrale al “Regina Margherita” di Racalmuto, inoltre per visitarlo si doveva anche pagare.  Cosicché la nuova giunta comunale, con il nuovo assessore alla cultura nonché membro di diritto del consiglio d’amministrazione della Fondazione Teatro “ Regina Margherita”  che poi Fondazione in senso tecnico non è mai stata, pensò bene di riaprire  il grande portone di ferro del teatro in occasione della festa del Monte i cui festeggiamenti sarebbero iniziati con il “Trionfo” del venerdì 6 luglio. Ad arricchire l’evento ha contribuito l’architetto di Villabate Enzo Di salvo, che ha messo a disposizione gratuitamente due pezzi delle sue collezioni.

La sera del 5 luglio 2007, dopo avere seguito per le strade del paese il festoso corteo degli artisti di strada preceduti da un’auto d’epoca, una Fiat Ardita nera con frecce e clacson manuali del 1934,  la gente  entrò nel Teatro a frotte, come testimonia il registro delle firme appositamente predisposto, alcuni non l’avevano mai visto da quando  nel 2003, dopo quarant’anni di chiusura,  era stato inaugurato alla presenza del Presidente della Repubblica.

Residenti, emigrati, forestieri, entravano con gli occhi alzati per ammirare i palchi, le luci, la scena dei Vespri siciliani dipinta dall’ottocentesco maestro Giuseppe Carta. Per l’occasione sul proscenio è stato esposto uno storico grammofono o “macchina parlante” dei primissimi del Novecento, di fattura francese, collocato originariamente negli ambienti di svago parigini, funzionante a gettone e con la caratteristica carica a manovella, vero antesignano del jukebox.

In sottofondo si udivano arie e melodie di tre tenori: Giuseppe Infantino, Salvatore Puma, Carmelo Scimè. I primi due  conosciutissimi e con un curriculum di tutto rispetto, il terzo meno conosciuto e la cui produzione in circolazione era ed è  molto esigua.  Il maestro Domenico Mannella, per l’occasione, ha tratteggiato magistralmente  le diverse individualità artistiche dei tre tenori in una nota critico-biografica distribuita in sala ai visitatori.

            Nella speranza di reperire ulteriore documentazione, sempre con l’intento di valorizzare le nostrane personalità artistiche, si è cercato di contattare allora la famiglia del tenore Carmelo Scimè, tramite parenti racalmutesi, ma senza molta fortuna.

            Sollecitato in questi giorni dalla rilettura della nota di Domenico Mannella, mi sono ricordato di possedere alcune registrazioni di musica classica e ho ritrovato una vecchia audiocassetta a nastro il cui contenuto così è descritto: “Canzone e Pezzi d’opera cantati da Gino Scimè”  (che Carmelo venisse familiarmente chiamato Gino?). Me l’aveva prestata molti anni fa un mio zio e l’avevo ascoltata tante volte ma poi messa da parte e pressoché dimenticata con il sopraggiungere dei cd e della musica digitale. Ascoltandola, sempre ne avevo ricavato piacevole sensazione per la tenorile voce e quasi un nodo alla gola per le struggenti parole di melodie molto sentimentali più o meno note. Una sensazione globale e indistinta, se si vuole, ma ora, riascoltando di seguito i due lati di trenta minuti ciascuno della cassetta Philips standard quality C-60 miracolosamente sopravvissuta e funzionante,  quella stessa voce mi si è rivelata in tutta la sua estensione e tonalità attraverso una vasta gamma di melodie popolari e brani d’opera. 

Sul lato A la voce femminile di un programma radiofonico annuncia in italiano e in francese la canzone  “Ti voglio tanto bene, di Gino Scimè”, vincitrice del concorso Canzoni senza frontiere,  su richiesta di un certo Franco per dedicarla alla propria madre, signora Jole Menin. Alla fine dell’esibizione si sente un tripudio di appalusi.

Proseguendo nell’ascolto, seguono altri undici brani: in francese, in dialetto napoletano, in dialetto siciliano, in italiano, canzoni, arie d’opera: ah, che tiempe felice… oh Marì, oh Marì…   tanta perfidia! un’alma sì nera! sì mendace… quando le sere al placido chiaror d’un ciel stellato… ah! mi tradìa!… recondita armonia… l’ora è fuggita… anema e core… cara piccina mia torna dal tuo papà…

Alcuni brani erano accompagnati dal semplice ritmo cadenzato della chitarra, altri da un compitante pianoforte, altri da mandolino e orchestra. Sul lato B altri dodici brani accompagnati dalla solita chitarra e dal pianoforte toccato da mani più esperte: dammillo nu vasillo… dicitencello a 'sta cumpagna vosta… è la solita storia del pastore… et la nuit dans nos montagnes / nous chantons autour du feu /et le vent qui vient d’Espagne / porte au loin cet air jouex…  airetun chikitun airetun läirè… non ti scordar di me… me vuogliu scurdà e Napule… pecché mm’e ddice sti pparole amare? Core, core ‘ngrato… o sole mio…

Un vasto repertorio che spazia dal genere classico a quello leggero, con ritmi gravi seri giocosi, una voce che s’innalza e plana sulle ali di nostalgie lontane, rabbie amorose, abbandoni sentimentali: dalla Luisa Miller di Verdi all’Arlesiana di Cilea passando per il massiccio corpus del repertorio popolare.

Già ero contento di poter comunicare al maestro Mannella il prezioso ritrovamento per integrare i materiali già in suo possesso da attribuire al tenore Carmelo Scimè, invece, facendo ascoltare, prima di restituirgliela,  l’audiocassetta a mio zio Matteo che me l’aveva prestata, un’inattesa rivelazione: non della voce di Carmelo Scimè si trattava, il tenore orafo di Roma, ma di quella del quasi omonimo Gino Scimè, emigrato in Belgio nel dopoguerra, e quindi di un quarto tenore racalmutese.

Fino a qualche tempo fa Gino, ora settantenne, ritornava dal Belgio in paese per risiedervi un paio di mesi, puntualmente ogni anno; scendeva al Raffo e, dopo una bevuta d’acqua fresca con le labbra accostate agli scroscianti “cannola”, un  spaghettata alla carrettiera e un bel bicchiere di vino rosso con gli amici, cantava. La voce si diffondeva per la vallata, racchiusa e delimitata tutt’intorno da un anfiteatro di verdi colline disseminate dalle case di villeggiatura.

“Gli piaceva cantare”, dice mio zio riandando ai ricordi di quegli amichevoli incontri canori in cui lui suonava la chitarra. Non smentendo così la passione dei racalmutesi per la musica e il bel canto.
 
E’ suggestivo immaginare che  mentre uno storico grammofono diffonde nel  teatro cittadino la tornita voce di ben tre tenori, tripartiti in “tenore di grazia” “lirico” “di mezzo carattere”, anche la vallata del Raffo risuoni delle melodie di un quarto tenore racalmutese la specificità della cui voce verrà classificata dagli intenditori: è la solita storia del pastore… recondita armonia di bellezze diverse… Ah, che tiempe felice! Ah, che belli mumente! Mo mme vènono a mente. Ma nun tòrnano cchiù!

Ma non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo ignorare che la passione antica si manifesta ancora oggi in forme diverse:

E mo ca só' turnato, core mio,
mé', viene a la fatica â terra 'e tato.
Pruvammo n'ata vota a stà affiatate,
scuntàmmoce 'o pperduto, core mio.
 
E ora che sono tornato, cuore mio,
dai, vieni a lavorare nella terra di tuo padre.
Proviamo un'altra volta queste complicità,
recuperiamo quello che abbiamo perso, cuore mio.


                                                                                                                                Piero Carbone
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giovedì 24 maggio 2012

UN TEATRO E TRE TENORI A RACALMUTO


Un paese di artisti
          Racalmuto ha dato i natali a grandi artisti, purtroppo ormai scomparsi, i quali oltre a costituire un vanto non solo per il nostro paese, la Sicilia e tutta la cultura ad alto livello, devono essere continuamente valorizzati per la tutela della memoria collettiva e ricordati come meritano, sia come racalmutesi che come artisti. La pittura ci ha dato Pietro D’Asaro già alla fine del 1500. La letteratura del nostro tempo ha avuto ed ha, ancora attualissimi, gli scritti di Leonardo Sciascia.

          E la musica? Salvatore Puma e Luigi Infantino
E la musica? Cosa ha dato la musica al paese? Non ci sono documenti, purtroppo, di un’attività musicale nei secoli trascorsi. L’unica pubblicazione interessantissima appena uscita riguarda l’attività bandistica di Racalmuto dalla seconda metà dell’800 ai nostri giorni. Da una particolare e approfondita ricerca di documenti raccolti dal prof. Giovanni Di Falco è venuta fuori l’origine dell’ antica scuola musicale racalmutese. Grazie ad essa Salvatore Puma e Luigi Infantino, nati a Racalmuto nel 1920 e 1921, anziché limitarsi a coltivare una semplice passione per la musica, o per gli strumenti musicali, hanno scoperto in loro doti eccezionali e talento innato per intraprendere gli studi per il canto lirico a livello professionale. Naturalmente  si facevano già apprezzare spontaneamente in paese. Da quel momento la loro vita era segnata dalla via musicale che li avrebbe portati a conquistare successi nei più famosi teatri lirici di tutto il mondo.

Esperienze parallele  ma diversificate
I due artisti con la stessa origine, dello stesso paese, entrambi tenori, continueranno a fare sia esperienze parallele sempre di alto livello, e scelte artistiche personalizzate e diversificate dovute soprattutto a ragioni naturali, di ordine tecnico-musicale. La voce di Tenore infatti, pur indicando la voce più acuta tra le voci maschili non assicura uguale altezza, intensità e qualità a tutti coloro i quali la possiedono. Vi sono perciò molte diversità sui timbri vocali, sui colori che richiamano la voce chiara o scura, sui registri  o altezze preferite, le intensità forti o aggraziate più agevoli.

Ugualmente bravi, ma diversi
I diversi tipi di voci tenorili si possono riassumere in “Tenore di grazia”, con una tessitura o estensione acuta e dotato di agilità, come il “Conte di Almaviva” del Barbiere di Siviglia di G. Rossini. Inciso per la Cetra dal nostro Luigi Infantino nel 1950 con altri interpreti di spessore internazionale.
Il “Tenore lirico” con una migliore cantabilità dalla zona centrale a quella acuta.
Il “Tenore lirico o di mezzo carattere” come “Turiddu” della Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, che ha avuto un interprete impareggiabile in Salvatore Puma, e “Cavaradossi” della Tosca di G. Puccini interpretato sia da Puma nel lontano 1956 a Tokyo e nel 1973 al Teatro Massimo di Palermo, sia da Infantino al San Carlo di Napoli nel 1946.
Il “Tenore lirico vero e proprio” , portato sulle scene dai nostri tenori, come il libertino Duca di Mantova del Rigoletto di G. Verdi, l’innamorato pittore Mario Cavaradossi della Tosca di G. Puccini, e dello stesso compositore l’innamorato di Manon, Des Grieux.
Il “Tenore lirico spinto” personaggio principale dell’Andrea Chenier, interpretato da Puma al Massimo di Palermo nel 1972, e Don Josè nella Carmen di G. Bizèt, portato felicemente in giro nei teatri di tutto il mondo dai nostri tenori.
Per finire il “Tenore drammatico” con voce potente e accenti forti, come l’Otello di G. Verdi e il Sansone dell’opera omonima di Saint-Saens, magnificamente interpretati da Salvatore Puma.

Grandi artisti e apprezzati professionisti
 Tantissimi altri personaggi sono stati valorizzati sulla scena del canto dai nostri tenori. Tutti e due hanno interpretato nei capolavori di G. Verdi, oltre i già citati, il guerriero Radames dell’ Aida, l’innamorato Alfredo della Traviata. Nelle opere di G. Puccini il poeta Rodolfo della Bohème, il principe Calaf della Turandot, il tenente Pinkerton della Madame Butterfly. Il capocomico Canio nell’opera Pagliacci di R. Leoncavallo, Lord Edgardo nella Lucia di Lammermoor di G. Donizetti. Lohengrin nell’opera omonima di R. Wagner, il Conte Loris della Fedora di U. Giordano, il nobile Grimaldo nella Gioconda di Ponchielli, il Faust nella stessa opera di C. Gounod, Vasco de Gama nell’Africana di Meyerbeer. Sedici tra i più grandi capolavori operistici che offrono, anche al tenore di oggi, un panorama così vasto, ampio e articolato di caratteri, sentimenti e personaggi da fare rivivere con il canto e la recitazione. Da incutere timore, rispetto e ammirazione per il piacere estetico.

Successo di pubblico e di critica
Molti altri sono stati i capolavori scelti dall’uno e non interpretati dall’altro e viceversa. Giustamente per seguire la scelta più appropriata al proprio timbro vocale regalato loro dalla natura. Quello di Tenore lirico di grazia per Luigi Infantino e l’altro Tenore lirico spinto e drammatico per Salvatore Puma. Con i quali timbri vocali personali si può dare voce ai personaggi diversi già previsti dai compositori.
Per Puma nelle opere di Trovatore, Forza del destino, Ballo in maschera , Ernani, Nabucco,  Tabarro,  Iris, Norma, Mefistofele, Guglielmo Tell, e moltissime altre.
Per Infantino nell’Elisir d’amore, Barbiere di Siviglia, Sonnambula, Cenerentola, Pescatori di perle, Flauto magico, Don Giovanni, Falstaff, Rienzi, e moltissime altre.
Grandi apprezzamenti e successi popolari per i nostri tenori sia da parte del pubblico di livello internazionale che da parte della critica specializzata. Anche se qualche volta questa critica musicale non ha gradito gli sconfinamenti oltre il proprio registro vocale soprattutto per Infantino, e qualche volta si è mostrata timida nei confronti di Puma.
Ora, dopo queste brevi note, le nostre voci della lirica meriterebbero approfondimenti adeguati alla loro statura di artisti, studi critici musicali ampi, e pubblicazioni intese a conservare e diffondere quanto con l’arte del canto siano riusciti a realizzare due racalmutesi. Molte notizie si raccolgono su internet digitando nei vari motori di ricerca come Google  i nomi e cognomi di S. Puma e L. Infantino.

          Carmelo Scimè:  valente tenore,  per diletto
Quando si parla dei tenori racalmutesi corre l’obbligo ritagliare uno spazio ben definito per un’altra bella voce di Racalmuto, Carmelo Scimè, classe 1924. Pur non avendo scelto, per vari motivi, il canto come professione principale, viveva a Roma infatti dove gestiva una gioielleria, conservò per tutta la vita la passione per la lirica. Curava con meticolosità e raffinatezza l’emissione della sua voce, il suo timbro di Tenore lirico e l’espressività nel canto. L’unica testimonianza della sua voce, che ci rimane al momento, è l’incisione su disco 45 giri per la Melody del famoso Inno racalmutese di carattere sacro “La vinuta di la Madonna di lu Munti”. A quella registrazione nel lontano 1975, partecipò il gruppo corale folkloristico racalmutese “A Virrinedda”. La voce di Scimè in questo disco appare chiara , nitida, espressiva, pronta a mettere in luce ed esprimere i significati più profondi della religiosità contenuta nel testo.
 Per finire, la musica ha sempre dato tanto al paese, sono certo che Racalmuto saprà sempre ricambiare e incoraggiare tutti coloro i quali esprimono con la creatività musicale la propria appartenenza ad una paese di grandi sentimenti e di grandi artisti.

                                                          Domenico Mannella





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mercoledì 23 maggio 2012

MAFIA


“Non c'è rispetto della legalità senza giustizia sociale. Non c'è futuro senza attenzione continua e costante Una parte della società accetta di morire. La mafia cresce dove ci sono i problemi sociali, come la mancanza di lavoro. Finché non ci sarà estirpazione del disagio e della miseria, il germe continuerà a colpire, alimentato dalla paura e dall'ignoranza, ma anche dal fascino forte esercitato dal danaro e dal potere".


Esprimere giustizia sociale, non vivere nell’ignoranza, non cedere alle lusinghe di ipotetici poteri, vuol dire, anche, cambiare  mentalità . Aprirsi all’innovazione, alla discussione, alla collaborazione. Accettare le critiche e farne tesoro,  per costruire ancora meglio,  per il bene collettivo e nel rispetto della persona. Evitare gli inganni e le menzogne. Essere aperti al dialogo e mutare atteggiamento. Non guardare con ostilità, invidia e rancore il prossimo e, arroccati nelle proprie idee, rifiutare i suggerimenti e le proposte costruttive. Noi siamo così, da noi è così: nessuno deve disturbare i nostri disegni, i nostri progetti. E chiunque dovesse farlo, chiunque dovesse rappresentare un’altra voce, l’altra campana, non sarà mai un valore aggiunto, una voce sincera da ascoltare, ma sarà sempre e solo un elemento di disturbo, un corpo estraneo da estirpare, da annientare, da mettere in ridicolo, in difficoltà, inculcando negli altri il germe della non credibilità. A noi non interessa se quello che ci viene detto, suggerito, consigliato, possa rappresentare un beneficio per la comunità. Non rappresenta un beneficio per noi in quanto vediamo rivale e giudichiamo chi ci muove delle critiche, dei suggerimenti, una persona che,  potenzialmente,  potrebbe minare i nostri progetti futuri. Magari a proprio beneficio.
Questo, che atteggiamento è!? Che atteggiamento si chiama!?

Racalmutese Fiero
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CONSUNTIVO E CHIARIMENTO DEFINITIVO


Sono passati due mesi dalla nascita del blog. Non mi interessa parlare dei numeri . Non  c’è nessuna gara, nessuna competizione. L’idea iniziale era uno spirito di confronto con altri organi (e di questo mi si deve dare atto),  per il bene del paese. La mia è pura  passione per  Racalmuto, qui ci sono le mie radici, qui i miei affetti. Espressione, dunque, di idee e di confronto. A me non interessano tanti lettori, ma lettori buoni, che possano dialogare e confrontarsi interagendo tra loro in maniera civile e intelligente.  Non c’è mai stato alcun  disegno di oscurare qualsiasi organo presente in rete. Anzi, più espressioni intelligenti e collaborative ci sono, più nascono le idee e più si fa per Racalmuto.  Nessuna idea di ottenere vantaggi o guadagni. E per chiarire ulteriormente, spazzando via qualsiasi ulteriore dubbio e in via definitiva: il mio è,  esclusivamente, amore  per Racalmuto. Nessuna intenzione di ricoprire, in futuro, alcuna carica  (sindaco, assessore, consigliere). Non voglio nessun  “posto accanto la statua di Sciascia”, come qualcuno ha scritto.  Lontanissima una mia idea di rubare lettori ad altri che  scrivono per mestiere ,  oltre, spero, per amore nei confronti del paese. Non mi piace una mentalità votata a imitare, togliere, tramare. Con questi presupposti, Racalmuto non andrà mai avanti. Occorre il famoso “scatto di orgoglio e di mentalità”. Questo, purtroppo, ad oggi, non lo vedo, non lo sento e non lo leggo ancora. Castrum Racalmuto Domani continua ad esistere se, a volerlo, sono le persone intelligenti di Racalmuto, che rappresentano la quasi totalità. Sono sempre fermamente convinto che Racalmuto abbia bisogno di “rifarsi la faccia”, per prepararsi alla rinascita e sono anche sicuro che “sguazzare” nelle notizie che legano sempre ed esclusivamente il paese ad un aspetto torbido, non faccia bene all’immagine di Racalmuto. Sono, infine, consapevole  che Il paese è fatto, soprattutto, di gente corretta e onesta, che sta attraversando uno stato di inerzia dovuto, anche, ad un’etichetta che non  permette forme di espressione e di azione. Questo è quello che penso io, che non vuole essere una posizione arroccata e immutabile. Mi interessa e molto, il confronto con le persone intelligenti. Quello che pensano, dicono e fanno gli stupidi, a me, francamente, non importa. Grazie per l’attenzione.

Racalmutese Fiero
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martedì 22 maggio 2012

L’ADULATORE


L’ambizione è una caratteristica insita nella natura umana. Quando questa predomina su tutte le altre, rischia di trasformarsi in spasmodica corsa al potere, alla ricchezza, alla fama. E per raggiungere tutto ciò, l’uomo si avvale di comportamenti scorretti e strategie. Una tra queste, l’adulazione,  sembra essere quella che più funzioni. Quindi non più un mondo per i forti, ma per i servili e gli ipocriti. Nella società attuale, il comportamento opportunistico ha raggiunto vette irraggiungibili, favorito anche dal fatto che viviamo ossessionati dal giudizio del prossimo, dal quale ricaviamo una nostra identità. E’ inevitabile, a questo punto, che l’adulazione gratificando chi la riceve, favorisca chi la pratica, assicurandogli consensi e favori. L’adulatore - detto anche ruffiano, lecchino e altro – non è più visto in maniera negativa, anzi. E’ normale che un bravo adulatore, si avvalga di regole e tecniche proprie di questa “arte”. Infatti, per prima cosa individua il soggetto da adulare, verso il quale esplica la sua arte in ogni caso e in ogni situazione, senza temere di eccedere. L’adulazione viene praticata anche in assenza del soggetto verso il quale è diretta, l’importante è assicurarsi che tale pratica giunga al prescelto e che questi intuisca chi ne sia l’autore. Non bisogna mai dimenticare di arricchire l’adulazione centrandola su determinati punti quali i figli, la bellezza, l’intelligenza, la professione. E’ un lavoro di grande pazienza che si estende nel tempo e che deve essere espresso con costanza senza temere la concorrenza di altri adulatori. La personalità dell’adulatore non è omogenea ma varia a seconda delle situazioni. Assistiamo quindi a quello  che semina oggi per raccogliere domani o quell’altro che si concentra sul potente di turno per trarne immediati vantaggi, o l’altro ancora che generalizza (non si sa mai e allora, nell’incertezza, meglio adulare tutti e sempre). Infine abbiamo l’adulatore che si concentra sul parente del potente e quello che preferisce fare complimenti sperticati per riceverne altrettanti in cambio.
Duro il mondo degli adulatori: al risveglio, la mattina, devono mettersi subito all’opera con impegno e portare avanti, per tutta la giornata, il loro lavoro, o meglio arte.
Un grosso impegno mentale oltre che fisico.

Racalmutese Fiero
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lunedì 21 maggio 2012

BASTA PARLARE


Mi piace stare ad ascoltare la gente. E’ un “vizio” che ho sempre avuto. Ascoltare permette di farsi un’idea di chi ti sta davanti che, parlando in modo chiaro, argomentando le proprie idee, parla solamente di ciò che conosce e agisce di conseguenza. Ma non sempre è così, anzi, sempre più spesso, si assiste a bravi oratori, apprezzati scrittori, abili a sfiorare le idee e a dare risposte anche quando non capiscono le domande. E allora li ascoltiamo parlare in modo incomprensibile, senza che capiscano quello che loro stessi dicono, toccando qualunque argomento, anche quelli a loro sconosciuti. Tutti pensavamo che per parlare bene di un certo argomento, occorresse conoscerlo. Invece, per alcuni, non è così; parlano di tutto senza conoscere nulla, senza che vengano invitati ad esprimersi in merito. E quindi, ben vengano gli argomenti di sport, arte, attualità, politica, senza problema alcuno. Del resto, non è così difficile, basta usare le parole giuste, quelle ad effetto, quelle adattabili, con qualche modifica a qualsiasi situazione. Magari introducendo dei termini appena inventati o, quando si ha poco da dire, facendo delle premesse lunghe, esternando intense riflessioni o, ancora, usando vocaboli che danno un senso di profondità al discorso. Ed ecco uno sciorinare di frasi fatte che possono esprimere condivisione o disaccordo, a seconda delle occasioni o di chi ci sta ad ascoltare. Del resto, oggi, abbiamo una vasta gamma di parole ad effetto, basta dire: impegno sociale, politica, mafia. Il successo è assicurato. Insomma, parlare sempre senza  dire nulla e, soprattutto, senza fare nulla.
Quando non si ha nulla da dire e non si è capaci di fare, sarebbe meglio tacere.

Racalmutese Fiero
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domenica 20 maggio 2012

STATO DI DIRITTO E STATO DI SICUREZZA


Muore una ragazza di sedici anni, a Brindisi, davanti ad una scuola il cui nome, “Morvillo Falcone”, accomuna la tragica fine di Melissa. Muore incolpevole, per mano vigliacca. Le viene privato il diritto di vivere una vita fatta anche di imprevisti e difficoltà. Un tempo si moriva, in così giovane età, per un ideale. Adesso si muore per nulla in uno stato democratico. Nello stato di diritto viene meno lo stato di sicurezza e le regole saltano, salta la legalità. Si muore dove convive anche brava gente, certa che la legalità, i diritti umani debbano avere la precedenza su tutto. Gente anche semplice, convinta che la lotta al terrorismo, di qualunque matrice, possa essere affrontata come qualsiasi altro reato, dal semplice furto alla rapina.
Uno stato di diritto è qualcosa che non sempre è perfetto perché, pur funzionando  in condizioni di normalità, viene meno in situazioni di emergenza. Ed è giusto pensare che se non si contrasta l’emergenza, il terrorismo, con la legalità, si rischia di essere come chi si combatte. Ma  la legalità non sempre basta,  occorre una giusta proporzione tra stato di diritto e stato di sicurezza. E’ opportuno, quindi, un confronto tra politica, magistratura e forze dell’ordine, per non lasciare sole queste ultime e per stabilire chi è il nemico da combattere e quale strategia adottare. Per ristabilire una sicurezza nazionale in uno stato di diritto.

Racalmutese Fiero
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sabato 19 maggio 2012

CONSIGLI PER IL TUO BEBE’ - Allergia alle proteine del latte vaccino


L’allergia alle proteine del latte è una situazione che si verifica prevalentemente nel bambino del primo anno di vita, con l’introduzione del latte vaccino (o meglio del latte adattato che si ottiene per modificazione del latte di mucca) e tende in genere a scomparire tra il secondo e terzo anno di vita, permanendo solo molto raramente.
È una condizione ben diversa dall’intolleranza al lattosio, in quanto non si tratta di una difficoltà digestiva da deficit enzimatico, ma di una vera e propria allergia alle proteine, in particolare alle beta-lattoglobuline, totalmente assenti nel latte umano e dunque estranee alla nostra fisiologia. Si verifica nell’1-2 % dei lattanti nel passaggio al latte adattato, molto più raramente invece negli allattati al seno, in questo caso per una sensibilizzazione del bambino attraverso il latte vaccino e i suoi derivati assunti dalla madre.
Nei piccoli la sintomatologia è prevalente cutanea o addominale e, come avviene nelle allergie, può comparire anche per piccole quantità. Le reazioni possono essere immediate, cioè subito dopo l’introduzione dell’alimento (le più pericolose), oppure ritardate. Tra le prime ricordiamo lo shock anafilattico e l’angioedema, fortunatamente rari. Altre manifestazioni hanno invece un andamento più subdolo e cronico e sono più difficili da riconoscere. Interessano prevalentemente la cute e l’apparato gastroenterico, più raramente l’apparato respiratorio. Frequente è l’orticaria e la dermatite atopica, segue il vomito persistente, le coliche intestinali e la diarrea a volte sanguinolenta o anche la stitichezza ostinata, infine il broncospasmo e la tosse.
Quando il bambino è alimentato ancora esclusivamente con il latte, il trattamento consiste semplicemente nel sostituire il latte vaccino con un prodotto alternativo. I prodotti attualmente disponibili per la terapia dell’intolleranza al latte vaccino sono vari: si va dalle formule a base di proteine vegetali (dalla soia o dal riso) alle formule di idrolisati proteici più o meno spinti (in cui le proteine del latte vaccino sono state spezzettate – idrolisate o idrolizzate – in particelle – o peptidi – più piccole, tali da non essere, almeno in teoria, in grado di determinare allergia). Negli idrolisati spinti i peptidi sono piccolissimi e quelli più grandi sono in percentuali bassissime, e dunque dovrebbero essere più sicuri. Meno usati sono i latti detti ipoallergenici (HA) in cui le proteine vengono frammentate in porzioni più grossolane.
L’indicazione specifica da parte delle società di allergologia, tuttavia, è di utilizzare esclusivamente le cosiddette formule elementari, sostanzialmente costruite in laboratorio e dunque non contenenti componenti di derivazione animale né vegetale. Va ricordato che è comune tra i pediatri l’indicazione all’uso del latte di capra e, seppure meno, di quello di asina. Per quest’ultimo, gli studi in corso sembrano promettenti, dato il basso contenuto proteico di questo latte e la modesta quota di beta-lattoglobuline; si tratta però di un prodotto di difficile reperibilità, data la scarsità di allevamenti di asini in Italia. Ben diverso il discorso relativo al latte di capra, di composizione simile al latte vaccino: nella maggior parte dei casi, il bambino è allergico a parti proteiche cosiddette “comuni”, dunque condivise dalle varie specie di mammiferi; per tale ragione sono molto frequenti le reazioni crociate col latte vaccino, il che ne sconsiglia l’uso terapeutico.
In generale le formule a base di soia sono molto diffuse nell’uso, soprattutto perché meglio accettate rispetto agli idrolisati ed ancor più rispetto alle formule elementari; va peraltro ricordato che le società allergologiche controindicano totalmente il loro uso sotto i 6 mesi, data l’elevata probabilità di sviluppo di allergia anche alle proteine della soia, ed anche nel secondo semestre la scelta di una formula a base di soia non è quella suggerita dagli allergologi, dal momento che almeno un bambino su dieci mantiene lo stesso rischio, soprattutto nel caso di poli-allergie già presenti.
Quando il bambino ha già un’alimentazione più varia, è necessario rivedere la dieta in modo da eliminare il latte e i suoi derivati (ad eccezione, forse, del parmigiano con più di 36 mesi di stagionatura), ma anche tutti gli alimenti che lo contengono anche in bassissima quantità perché utilizzato nel processo produttivo: è il caso di molti insaccati, di vari tipi di biscotti, di molti tipi di pane comune, di dadi, di numerose marche di caramelle e così via, senza dimenticare vari prodotti specifici per l’infanzia. Non è invece corretto escludere le carni di manzo e vitello, dal momento che meno di un terzo degli allergici al latte vaccino è allergico anche alle carni. In questi casi quindi, bisogna:
fare attenzione che le proteine del latte non siano contenute in prodotti alimentari già in uso o di nuova introduzione;
controllare che la nuova dieta rispetti le necessità caloriche, proteiche, vitaminiche e di calcio del bambino;
provare a reintrodurre, con la guida del pediatra, e in genere dopo il compimento del primo anno di età, gli alimenti eliminati per valutarne la tollerabilità. Diversa è la situazione in cui si siano verificati sintomi gravi. In questi ultimi casi la reintroduzione graduale del latte deve avvenire solo in ambito ospedaliero.
Meritano di essere citate quelle situazioni in cui i sintomi sono particolarmente blandi e facilmente trattabili come nella dermatite atopica di lieve entità: in questi casi si preferisce spesso non sostituire la formula in uso, valutando che gli svantaggi legati al cambiamento di latte sarebbero maggiori dei vantaggi dati dalla riduzione dei sintomi. Altro caso che merita di essere citato è quello in cui i sintomi compaiono durante l’allattamento materno: in questo caso, pur nel sospetto che si tratti di una allergia alle proteine del latte, non si elimina il latte materno dall’alimentazione del piccolo, ma si prescrive invece alla mamma una dieta priva di latte e derivati.
Un aiuto diagnostico può venire dai Prick test, ma va tenuto ben presente che la loro – assai frequente! – negatività non esclude un’allergia alle proteine del latte vaccino. Per fortuna, nella quasi totalità dei casi, l’allergia alle proteine del latte vaccino è una situazione reversibile che non esclude l’utilizzo del latte e dei suoi derivati nelle età successive.


Dott.ssa Marina Cammisa
Pediatra
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venerdì 18 maggio 2012

GIOVANNI DOMENICO MARCHESE, TALENTO RACALMUTESE


Non spetta a me parlare dei dipinti del piccolo Giovanni,  per questo ci sono altri che , con competenza,  si sono espressi. Posso dire che a me, i quadri di questo giovane artista piacciono. Forse perché, non essendo un esperto di pittura, li trovo riconoscibili, forse perché leggo la  rappresentazione  della  realtà vista dal piccolo Giovanni. Conosco il padre, Angelo, fin da quando era bambino, un ragazzino vispo, che giocava spensierato nelle giornate assolate, alla Noce. Ho rivisto i genitori di Giovanni Domenico, dopo una lunga pausa, circa un mese fa. Avvolti nel loro dolore, mi ha colpito la compostezza, la semplicità e la dignità. Ammirevole il loro impegno di ricordare con tante iniziative  Giovanni, che mi piace immaginare intento a dipingere, da lassù, i volti sereni e sorridenti dei suoi genitori. Così li vede, così li vorrebbe.  Sabato, alle 17,30, al Castello Chiaramontano, ci sarà la chiusura della mostra dedicata  al talento artistico di Giovanni Domenico Marchese che culminerà con la premiazione del II° Concorso “Il piccolo Giotto”. Non mancate.

Racalmutese Fiero
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giovedì 17 maggio 2012

LA COLONNA NON INFAME

In difesa della memoria smantellata

Per favore non chiamatela nostalgia. Ma va detto: un altro “pezzo” di paese è stato abraso. Chi pagherà mai il conto della memoria collettiva depauperata? Questa nota è da far valere a perenne giustificazione di una colonna apparentemente senza senso: in ghisa, ben sagomata, solitaria e  isolata, non sorregge nulla, come le finte colonne delle chiese barocche, ma il gusto estetico barocco non c’entra per nulla, semmai ad altri ambiti gustativi è da associare. Al gusto dei racalmutesi per triglie e calamari. Ce lo dice la storia.
            Il 30 settembre 1891, centoventuno anni fa, il comune di Racalmuto aggiudicava a licitazione privata la locazione della Pescheria “in Via Fontana” al signor Taverna Carmelo “pel prezzo di lire 615.00 annuali”. Accostando al sacro il profano, la Pescheria era addossata al muro della chiesa del Collegio di Maria prospiciente la strada che declina e conduce alla Fontana.  Un po’ più a monte, il mercato di frutta e verdura.
            Non tutti i comuni avevano un tale servizio a quei tempi. 
Il 17 marzo 2005, forse per facilitare la sistemazione dell’impalcatura, la “storica”  struttura della Pescheria, fatta salva la colonna in ghisa sagomata, rimasta miracolosamente al suo posto, è stata “scancellata”,  smantellata pezzo per pezzo (muretto, mensole in marmo, cancellatina in ferro battuto), con l’acquiescenza dell’amministrazione comunale e, a quanto pare, con l'avallo della Sovrintendenza di Agrigento che di fatto l’avrebbe ritenuta "corpo estraneo" alla chiesa del Collegio di Maria a cui era addossata. Ma dopo oltre un secolo, come dimostra il Verbale di aggiudicazione della locazione del 1891, con tanto di sindaco e di segretario comunale ad avallarlo e a sottoscriverlo, non si può dire estranea alla memoria storica di una comunità, di un angolo della Sicilia, di un paese che è anche il paese di Sciascia: indicava una tradizione, un costume, un tenore di vita. Via!       
            Forse consapevole di ciò, l’amministrazione precedente al restauro della chiesa del Collegio  aveva ripulito e rimesso a nuovo la Pescheria, resa gradevole alla vista con una mano di colore indaco a richiamare l’azzurro del mare. Anzi, s’era sparsa in giro la voce che sarebbe ritornata viva e funzionante. False voci, allora. Ma la demolizione, oggi, è incredibilmente vera. E persiste.
            Eppure il restauro della chiesa del Collegio è stato completato da tempo, le impalcature sono state tolte, le monache sono tornate ad affacciarsi dalle alte finestre per assistere al passaggio dell’annuale processione mariana tra festosi scampanii e fragorose bande musicali, ma della Pescheria nessuna traccia, tranne la colonna isolata e solitaria che di giorno proietta sul quadrante del marciapiede un filo d’ombra come una meridiana, senza numeri e senza tempo.
Paradossalmente, lo smantellamento è avvenuto  nel cuore del centro storico dove la gente per riparare una vuttèra  o spostare un chiodo deve sudare sette camicie dal momento che tutto ricade nel vincolo della “storicità”. La Pescheria, evidentemente, no. E domani cos’altro? A quale criterio architettonico-ermeneutico si rifà  un’Amministrazione comunale o una Sovrintendenza provinciale per classificare come “non storico” un manufatto non degno di essere conservato? Vabbè che per il pesce oggi ci sono i frigoriferi e l’antica Pescheria poteva essere obsoleta,  ma la memoria non è certo pesce che puzza.

           

                                                                                                                        Piero Carbone




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mercoledì 16 maggio 2012

Lettera Carmelo Mulè - ZONA FRANCA PER LA LEGALITA'

Riceviamo e pubblichiamo


                Gent.ma dott.ssa Gabriella Tramonti
                Preg.mo dott.Eugenio Galeani
                Preg.mo dott.Emilio Saverio Buda
                                C/O Comune RACALMUTO

             e p.c.  A S.E. Il Ministro dell’Interno
                        Prefetto Anna Maria Cancellieri
                                                   ROM A

                      Preg.mo sig.  Presidente 
                      Confindustria Sicilia
                      Dott. Antonello Montante
                                             PALERMO

                 Preg.mo sig. Presidente
                        Confindustria Agrigento
                 Dott. Giuseppe Catanzaro                                                                                             
                                                                                                                  AGRIGENTO

                                                                                            Agli Organi di Stampa
LORO INDIRIZZI

                                                                                  
Oggetto : Richiesta inserimento Comune di Racalmuto Zona Franca per la Legalità.

Eccellenze,
ci pregiamo, umilmente, chiedere alle SS.LL. di valutare la possibilità di avanzare richiesta per l’inserimento del Comune di Racalmuto nella Zona franca per la legalità, stante che il ns. paese è limitrofo ai Comuni del Nisseno inseriti nella Zona e, soprattutto, la necessità per il ns. territorio di avere occasioni di vero sviluppo economico come, del resto, riconosciuto,anche, dalle personalità che leggono per conoscenza nella Loro visita a Racalmuto il 10 aprile, ultimo scorso.

Il bacino minerario che insiste nel ns. territorio e l’attraversamento del nuovo tracciato della “640” riteniamo siano occasioni di nuove intraprese industriali e/o commerciali ed artigianali che possono cambiare il destino di questo paese, dare occupazione qualificata e duratura e riportare serenità e legalità tra i cittadini, nella consapevolezza che la disamministrazione ha distrutto il tessuto economico, sociale, culturale e morale di Racalmuto.

La Zona industriale, in particolare, in questi ultimi anni lungi dall’essere occasione di sviluppo per il paese,  si è rivelata solamente un pesante ed odioso balzello per i proprietari dei terreni.

Siamo fiduciosi nel corale impegno delle SS.LL. per dare una speranza ed un futuro ai cittadini di Racalmuto.

Con deferenti ossequi.
Carmelo Mulè
Coordinatore UDC Racalmuto.


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