domenica 23 dicembre 2012

LI CAPUNA PI NATALI

Altro che Christiaan Barnard! Mia madre sì che era una grandissima chirurga.
   
Tutti gli anni dopo la chiusura della scuola, si organizzava la “ campagnata “ . Puntualmente verso la fine di maggio, mio fratello Totò e mio fratello Gigi, venivano incaricati di andare ad imbiancare la casa di campagna che si trovava in contrada “CUTI”, per intenderci un chilometro più avanti, andando verso Canicattì, dal centro commerciale Le Vigne. Armati di pennelloni e tutto quanto l’occorrente necessario e senza molto entusiasmo, i miei fratelli svolgevano questa incombenza e, per renderla meno noiosa, si schernivano disegnando sulle pareti le loro caricature con relativo nomignolo.
 
Entro la prima settimana di giugno, una mattina arrivava il carretto dove veniva caricato tutto quello che bisognava trasferire in campagna, l’ultima operazione che mia madre faceva era quella di catturare i gatti e sistemarli dentro un sacco di iuta che una volta chiuso con lo spago veniva appeso sotto il carretto. Mio fratello Gasparino con la sua seicento ci trasportava comodamente in campagna, dove mia madre per prima cosa faceva ardere delle scarpe vecchie; era convinta che questo servisse a tenere lontano dalla casa le serpi.

Verso la fine di giugno da Palermo arrivava mia sorella Concettina con i miei tre nipoti, in verità essendo tutti e quattro quasi coetanei sembravamo fratelli. I giorni scorrevano piacevolmente, inventavamo ogni giorno dei nuovi giochi, eravamo liberi di fare qualsiasi cosa e avremmo voluto che quei giorni non passassero mai, a volte si litigava alla grande, ma non riuscivamo a tenerci il broncio per più di dieci minuti.
 
Verso la fine di agosto mia sorella con tutta la famiglia tornava a Palermo ed io restavo solo, il mese di settembre era diverso senza i miei nipoti con i quali potere giocare, ma in quel mese c’erano tanti lavori da svolgere, la raccolta delle mandorle e quella più impegnativa delle noci.

Ogni anno nel mese di settembre mia madre apriva “la clinica di li capuna”, mia madre era bravissima in questo che potremmo definire un vero e proprio intervento chirurgico, l’asportazione dei testicoli ai galletti, per trasformarli in capponi. Lo so! A pensarci oggi è terribile, una violenza inaudita a quelle povere bestiole, ma allora era perfettamente normale praticare questa terribile usanza.
 
Tutti i contadini delle vicinanze venivano da mia madre, perchè ad eccezione di qualcuno tutti i galletti sopravvivevano all’intervento. Ricordo in particolare quando veniva lu zi Beniaminu di “li shiumeti”, (contrada cometi), con due giumente che trasportavano quattro “cufina” pieni di galletti da operare. Quella mattina mia madre non prendeva impegni, avrebbe operato ininterrottamente tutti i galletti di lu zi Beniaminu.

La sala operatoria veniva allestita nella terrazza di tramontana e tutti noi avevamo un compito da svolgere: lo zio Beniamino porgeva il galletto a mia madre che lo stringeva tra le gambe ed iniziava l’intervento, io avevo l’incarico di porgere il piatto dove venivano posti gli organi asportati compresa la cresta tagliata e, nel caso in cui il povero galletto dava segni di non farcela più, “tipo lo stiamo perdendo, lo stiamo perdendo”, dovevo porgere immediatamente un contenitore pieno d’acqua dove venivano immersi i piedi del povero animale per fargli riprendere i sensi, una specie di defibrillatore casereccio. Mia sorella Ida era sempre pronta con ago e filo da dare a mia madre per la sutura. 
 
A pensarci bene oggi, una scena infernale, lo zio Beniamino finiti gli interventi, ritornava nella sua campagna contento perché tutti i galletti avevano superato l’intervento e a forza lasciava quanto asportato agli animali per una bella frittata con le uova, “pi li carusi” diceva.

Oggi fortunatamente tutto questo non esiste più e nessuno, credo, ne sente la mancanza; io ho voluto raccontare questa usanza semplicemente perché fa parte delle nostre tradizioni e anche per ricordare mia madre che ho perso un Natale di tantissimi anni fa.
 
Adesso i capponi, che non sono capponi, li compriamo al supermercato contenti che non abbiano ricevuto la tortura dei tempi andati, ma a parte l’insipidezza delle carni, siamo sicuri che il loro allevamento non sia stato peggio di quanto raccontato?

Colgo l’occasione della pubblicazione di quest’articolo per fare a tutti i miei compaesani e ai lettori del blog, gli auguri di Buon Natale e di un sereno Anno Nuovo.

                                                                                                             Roberto Salvo
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