mercoledì 12 dicembre 2012

RECONDITE ARMONIE


Il mio viso non si scollava dal finestrino; riconoscevo la campagna, così caratteristica e unica che definiva un territorio a me caro. La “littorina”, superando il ponte del Carmelo, giungeva sull’ultimo rettilineo prima di arrivare alla stazione. Cumuli di sale erano ammassati oltre l’ultimo binario, addossati a dei fabbricati fatiscenti. La campanella della stazione preannunciava un altro treno in arrivo, forse da Agrigento. Un ferroviere, addetto alla manovra, una bandiera arrotolata in mano, girava la manovella del vicino passaggio a livello, accanto alla pompa dell’acqua. Un vecchio carrello in legno, sbilanciato in avanti, esposto alle intemperie, stava lì abbandonato, addossato a uno steccato in cemento, sotto un albero basso, sempre verde.

Io, mia madre e mia sorella, scendevamo da quel treno, il freddo era pungente, l’aria un po’ assonnata ma contenti di essere finalmente a Racalmuto per quei pochi giorni di Natale. Mio padre ci avrebbe raggiunti a fine lavoro. Mi aspettavano giorni eccitanti, piacevolmente intensi, tra le coccole dei miei nonni, le buone pietanze preparate in casa e le corse in piazzetta o sulla scala di sant’Anna. Ci affrettavamo a scendere la via che ci avrebbe portato in paese. Le donne, a quell’ora, mantiglia sulle spalle, erano intente a spazzare davanti l’uscio di casa con la “riviglia” o  quelle scope di sagina che producevano, strusciate sul terreno, un tipico rumore. Al nostro passaggio si bloccavano e rimanevano così, come nel gioco delle belle statuine, incuriosite da tre persone che non riuscivano a collocare tra le loro conoscenze.

Superata la centrale elettrica – adesso Fondazione - si intravedeva un paese dall’aria incantata, sprofondato per metà nella nebbia, sorpreso appena al risveglio. La prima tappa in via Cristoforo Colombo, la nonna paterna. Io e mia sorella spazientiti, avremmo volentieri abbreviato quella visita, proiettati come eravamo, verso nonna Maria e nonno Ciccio, genitori di nostra madre. Dopo la preparazione di un caffè per mia madre, i chicchi macinati al momento con un macinino a manovella e quell’odore tipico tra l’umido e la bevanda calda sul fornello, io e mia sorella ricevevamo qualche spicciolo “ppi li carusi, ppi auguriu” come diceva mia nonna Rosalia. Salutavamo e, scese le ripide scale della casa, si percorreva la via Cristoforo Colombo, verso via Asaro e giù, infine, per la “scinnuta di sant’Anna”.

La campanella della chiesa faceva sentire i suoi rintocchi leggeri, quasi stonati, come se volesse salutare il nostro arrivo. Già la piazza brulicava di persone, chiaro sintomo di vive attività. Asini e muli, carichi di generi vari, per lo più prodotti della campagna, sostavano in vari spazi della strada. Grandi feste appena si metteva piede in casa. Stretto tra le braccia di mia nonna ne sentivo piacevolmente il profumo familiare. Potevo finalmente  fare di tutto. Per quei pochi giorni, nessun rimprovero era consentito. Quando ho bisogno di riprendere il senso della mia vita, il filo conduttore, un equilibrio che non sempre è stabile, non sempre è precario, spesso con la mente ritorno a quei giorni e a quei luoghi, popolati ancora da tante figure a me care.

Racalmutese Fiero
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