giovedì 31 gennaio 2013

GENIALE “FOLLIA”


Gli ultimi periodi sono stati caratterizzati dal tramonto dei principi fondamentali dell’essere, contraddistinti dal sopraggiungere di una crisi economica sociale che domina. In un clima così caratterizzato, anche personaggi del passato acquistano, quindi, connotazioni e spessori più complessi, quasi nostalgici, che mostrano un problema di fondo dell’esistenza, ovvero la delusione dell’uomo  di fronte a realtà attuali,  che ormai annullano la fantasia,  le proprie aspettative, la realizzazione di un progetto di esistenza con cui l’uomo si identifica.

L’interpretazione sottopone tutto a diversi punti di vista, il che fa perdere chiaramente l'esatto concetto di realtà. Una dimensione comica, a volte  tragica che dipende dall'inesistente congruenza tra fatti e parole. L'accumulo di situazioni trasformano la realtà a seconda della prospettiva cui la si guarda e incutono una  sensazione di preoccupazione, di incertezza che non trovano vie d’uscita. Il susseguirsi di nuovi eventi rappresenta ormai la rifondazione dei vecchi su nuove basi in cui l'interpretazione, viene ad intrecciarsi in una rete di corrispondenze a specchio tra azione e riflessione, passato e presente, illusione e realtà.

Anche negli anni del suo più grande slancio, a questo paese è sempre mancato qualche cosa. Un modo di vedere le cose, valutare situazioni che affermi una certa necessità e che obblighi ciascuno nello sforzo di essere protagonista oggettivo e non soggettivo. Proprio in questo scambio di ruolo il declino, i cui frutti, agire e soffrire hanno formato la storia di una comunità, che non deve minimizzare o considerare superfluo confrontarsi e integrarsi in contesti più ampi dai quali ricavarne la propria personalità.

Per  percepire questa volontà di proiettarsi, bisogna innanzi tutto risolvere gli annosi problemi che sembrano avere una prevalenza in una cultura prettamente conservatrice e che poggia alcune basi del proprio agire sulla evasività. Caratteristica che adesso reclama una liberazione. E che non viene avvertita  da se stessi, né percepita da altri, se non nel proprio contesto ma che rappresenta, alla fine, una mera solitudine interiore di una vita vissuta nel proprio ambiente.

Quella essenza che ha sempre bisogno di rimanere legata a qualcuno, di cercare riscontro negli altri, quasi ad elevarli a giudici di se stessi, ma non per essere giudicati. Come uno specchio che ritorni figure e ne misuri coscienza e genio. Immagine riflessa che mira, quindi, alla incertezza o alla esaltazione tra l’uomo reale e quello che vuole apparire ma che restituisce, realisticamente e  definitivamente, un riflesso di insicurezza, di indecisione.

Ne viene fuori quasi un ritratto  di geniale follia, quella follia che porta ad assolvere tutti da ogni misfatto, da ogni stranezza, come a voler sgravare la propria coscienza dagli stessi peccati in un unico grido, desiderio sopito di indipendenza e libertà.

Racalmutese Fiero
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mercoledì 30 gennaio 2013

QUALIFICARE, RADDOPPIARE MA NON DIMEZZARE


Racalmuto è sempre stato il centro nel centro di tutte le polemiche. Sono state fatte più proposte qui che in qualunque altro paese siciliano. Tutti ci siamo adoperati per trovare soluzioni che potessero dare respiro ad una situazione fortemente penalizzante e in assoluto stallo. Tanto si è scritto e tanto si continua a fare. 

Alcuni amici oltre paese, non racalmutesi, leggendo le dichiarazioni dei Commissari, circa la non facile gestione per mancanza di fondi, delle strutture culturali in paese – Fondazione, Teatro, Castello Chiaramontano – appreso di una auspicabile “adozione” da parte della Regione siciliana, hanno avanzato l’ipotesi di una gara di solidarietà per Racalmuto, una sorta di Telethon che possa far convergere denaro da varie parti d’Italia da destinare, ovviamente, alle varie strutture. Del resto il paese di Sciascia, troverebbe sostenitori in varie parti del mondo. Una simile iniziativa si scontrerebbe, però, con procedure organizzative, amministrative e legali non indifferenti che renderebbero il tutto di non facile applicazione e soprattutto di difficile gestione. E non solo, diciamolo pure, anche per una mentalità che si affianca spesso al pregiudizio e ci costringe a vedere torbida anche l’acqua cristallina. 

Ho letto con molto interesse l’articolo di Gaetano Savatteri su Malgrado Tutto. In effetti raddoppiare per Racalmuto rappresenterebbe un forte rilancio e un ritorno dal punto di vista economico e culturale. E sono pure d’accordo quando Savatteri parla di puntare su frequentatori “forestieri”, sottolineando una realtà locale che ha visto spesso i compaesani apatici nei confronti di eventi culturali e, al contrario, molto attenti alle tradizioni. Non dimentichiamo che la Fondazione Sciascia, tempo fa, ospitò  la mostra fotografica di Robert Capa che accolse circa dodicimila visitatori da tutte le parti della Sicilia e anche oltre. Occasioni quindi, che possano far convergere presenze in paese, potrebbero benissimo essere realizzate con discreto se non ottimo successo. 

Ma il problema di fondo a Racalmuto e solo in questo paese, è un altro: combattere una mentalità che si ostina a vedere realtà distorte anche quando le linee intenzionali e comportamentali sono perfettamente diritte. Qui alberga da sempre il concetto dal quale scaturisce la domanda: “che vuole questo, perché fa questo?”. Non è concepibile che ci si possa adoperare per un ideale, per un’appartenenza. 

Sorgerebbe un ulteriore problema infine; la gestione delle strutture. Perché, parliamoci chiaro, gli appetiti per la conduzione di Fondazione, Teatro e Castello Chiaramontano sono tanti. E non mi riferisco solamente a un interesse meramente venale ma anche a presuntuose aspirazioni, una sorta di vanto che possa trovare conferme, in un contesto di cerchie ristrette, di un modello di perfetto amministratore, organizzatore sempre pronto a vantare eventi e stagioni “indimenticabili” a costi contenuti. Costi che non sempre sono stati volentieri affrontati dai pochi frequentatori le manifestazioni culturali. Frequentatori con possibilità di spendere quei pochi euro per un biglietto di ingresso, per godere di una rappresentazione, un concerto e per contribuire, così, a rendere sempre viva la struttura. Anzi, si è fatto di peggio, ci si è pure vantati di aver assistito agli spettacoli da perfetto…”portoghese”. 

Altro aspetto e non trascurabile, ancora si discute se Fondazione o non Fondazione….implicando in questo discorso contributi regionali, nazionali, consigli di amministrazione vari, costituzioni di cariche dirigenziali, ambizioni spesso sovrastimate in rapporto ad effettive capacità organizzative,  relazioni sociali e manageriali. Certo, sono pienamente d’accordo con Gaetano Savatteri, bisognerebbe istituire degli appuntamenti annuali che siano caratterizzanti le strutture, da affiancare ad altri eventi nel corso dell’anno e che possano portare ritorni economici. Occorrerebbe inserire Racalmuto e tutta la sua storia culturale in circuiti più vasti. Sciascia non è solamente il rifugio o la citazione per giustificare  comportamenti, inefficienze o moniti da lanciare a qualcuno. Lo scrittore, che ha tratto ispirazione per i suoi componimenti da questi luoghi, deve rappresentare finalmente il punto di riferimento, il richiamo per Racalmuto. 

Fondazione, Teatro, Castello Chiaramontano, hanno bisogno di una gestione competente, che abbia conoscenze in ambiti culturalmente e artisticamente qualificati. Indispensabile, infine, un cambio di mentalità, un altruismo, una collaborazione, anche una critica ma che sia costruttiva e propositiva, che possano fare da volano e  muovere un motore che deve funzionare a pieno regime. Destinare le strutture presenti in paese esclusivamente alle filodrammatiche locali, associazioni musicali o saggi scolastici, sarebbe solo dimezzare e non certo raddoppiare.

Racalmutese Fiero 
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martedì 29 gennaio 2013

IL MONDO DENTRO


Se ne stava,  solo e pensoso, ad osservare dalla finestra la gente che passava per strada.

C’era un gran movimento, tutti quelli che passavano sembravano avere una gran fretta di raggiungere il posto dove erano diretti. Impegnati così come erano in questo compito, neanche si accorgevano di chi passava loro accanto. Se  padri e figli, fratelli e sorelle si fossero incrociati, non si sarebbero sicuramente visti né riconosciuti. Era una folla di gente sola. Un vortice umano risucchiato dall’efficienza. Eppure erano esseri umani, fatti di carne ed ossa, con i loro pregi, i loro difetti, i loro vizi e le loro virtù. Nell’aria si avvertiva elettricità, dinamismo, frenesia. Veniva quasi voglia di unirsi a quella folla soltanto per il gusto di vedere cosa si provava a correre e dove si andava a finire. L’idea che ne veniva fuori da tutto quel gran correre era di grande efficienza e produttività.

Provando ad affacciarsi sporgendosi il più possibile dalla finestra, riusciva a vedere alti palazzi e imponenti edifici grigi, come il cielo che li sovrastava. Le strade, grigie anch’esse, si diramavano,  si incrociavano, ma tutte portavano in direzione di uffici, scuole, fabbriche, luoghi di lavoro dove quella folla veniva inghiottita la mattina per riuscirne fuori e ripercorrere il tragitto inverso la sera.

Ogni giorno gli si presentava sempre la stessa scena. Mattina e sera. Chissà a casa, poi, come si svolgeva la loro vita. Se,  quella frenesia, quel correre, continuava anche tra le mura domestiche o se, come un giocattolo il cui meccanismo a corda si era scaricato, si fermava e taceva. Ecco, lui  li vedeva così a casa, giocattoli esausti, inanimati. Si chiedeva come mai lui fosse lì ad osservare tutto quel movimento e a non farne parte. Un dubbio lo assalì. Forse, per un motivo qualsiasi, lui doveva avere qualcosa che non andava e questo lo obbligava, per quel difetto di fabbrica, a stare da parte come uno scarto, per non rallentare quell’ingranaggio, quell’attività frenetica che si svolgeva lì fuori. Doveva essere inadeguato a svolgere quelle mansioni.

Ed infatti, a riprova che aveva qualcosa che non andava,  gli capitava sovente di avere delle singolari visioni. Erano immagini che passavano nella sua mente come in un film. Erano immagini di fitti boschi, alberi secolari. Campi verdi, ricoperti di papaveri e di margherite. A volte, erano montagne e colline e prati. A volte, cavalli che correvano in libertà su vaste praterie. Colline, su cui si inerpicavano caprette curiose e pecore pazienti. Vedeva distese di  iris selvatici, teneri bouquet che a gruppi coloravano, di quel loro tenue viola, bordi di strade e fazzoletti di terra qua e là. Campi di grano del colore dell’oro. Valli attraversate da  fiumi, che scavavano la loro via disegnando percorsi, strade d’acqua. Vedeva il passaggio quieto dell’acqua di un fiume scintillante per i raggi del sole, che leggeri, vi si posavano sopra. Quella stessa acqua così quieta qui, più in là si agitava diventando impetuosa per il  giro e poi il salto che il percorso le obbligava a fare. Nella mente gli apparivano mandorleti dai candidi fiori bianchi appena sbocciati, riusciva a sentirne il profumo, inebriavano, confondevano  i sensi. Sentiva la musica  del vento che passando tra gli alberi e i rami creava melodiose sinfonie. Ne vedeva volteggiare i petali, di quei mandorli. Si staccavano per la carezza del vento e,  come soffice neve, dopo un lieve volteggio,  si adagiavano sulla terra.

E poi pescheti, uliveti…

Nella sua mente visioni di sequoie giganti, enormi ghiacciai. Era commovente vedere sbucare timidamente dalla neve quei  teneri e forti bucaneve, presagio di un’imminente primavera.

Sicuramente c’era qualcosa di sbagliato in lui. Questo effluvio di immagini, che gli inondava la mente, era frutto della sua fantasia o era realtà? Dove poteva averle già viste ? A tal proposito non aveva memoria. Doveva, sicuramente, essere il frutto di una mente malata, ma di una  malattia che non gli  dispiaceva. Quella folla di immagini che popolava la sua mente gli regalava sensazioni,  emozioni, lacrime, commozione.

Era l’anno  2100 e non esisteva un angolo della terra simile a quello che alloggiava nella sua mente. Un tesoro custodito gelosamente a cui aveva accesso solo lui.

Ecco, doveva essere veramente malato, affetto da una grave patologia che lo rendeva alieno al mondo esterno e lo portava in un mondo interiore, invisibile agli occhi altrui.

                                                                                                                Brigida Bellomo
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lunedì 28 gennaio 2013

MALATTIE DELLA TIROIDE


La tiroide è una ghiandola endocrina situata nella parte anteriore del collo con funzioni di produzione e regolazione degli ormoni. Oltre a bilanciare il calcio e il fosforo, contribuisce al miglioramento del metabolismo e alla buona crescita del bambino. È quindi molto importante assicurare lo stato di salute della tiroide e verificare il buon funzionamento della produzione di ormoni tiroidei.

Le malattie della tiroide più frequenti sono dovute ad alterazioni del numero di ormoni tiroidei prodotti. Si parla di ipotiroidismo e ipertiroidismo.

L’ipotiroidismo è una malattia della tiroide causata dalla carenza di ormoni tiroidei. Questa malattia produce un notevole rallentamento del metabolismo, con un conseguente calo di forza fisica e psichica.

I sintomi sono stanchezza, stipsi, aumento di peso, sonnolenza, gozzo. La facies mixedematosa è invece un sintomo che si presenta solo nei casi più gravi di ipotiroidismo e si manifesta con gonfiore della faccia, ingrossamento di labbra e, talvolta, perdita di capelli. Nelle fasi più acute di questa malattia possono nascere complicazioni all’apparato circolatorio (gonfiamento del cuore e rallentamento del battito cardiaco), all’apparato genitale (alterazioni del ciclo mestruale e calo del desiderio sessuale) e a quello muscolare (indolenzimento e debolezza).

La causa dell’ipotiroidismo è la carenza di iodio. Per curare questa patologia è necessaria la somministrazione di tiroxina, l’ormone prodotto generalmente dalla tiroide e responsabile del buon funzionamento del metabolismo.

L’ipertiroidismo è invece l’eccessiva produzione e circolazione di ormoni. Il morbo di Basedown (o di Graves), patologia congenita di origine sconosciuta, è una delle cause principali che determinano l’ipertiroidismo. Anche chi è affetto dall’adenoma tossico di Plummer (o morbo di Plummer) è soggetto a ipertiroidismo; si tratta di un’adenoma benigno nella tiroide che, essendo iperfunzionante, produce ormoni in esubero.

I segni più evidenti sono l’ingrossamento della tiroide, il gozzo, l’oftalmopatia infiltrativa (bulbi oculari sporgenti), la tachicardia. Fra i sintomi che il paziente affetto da ipertiroidismo accusa ci sono: palpitazioni, perdita di peso, nervosismo, insonnia, insofferenza al caldo, debolezza, diarrea.

Per curare questa malattia è necessaria la somministrazione di farmaci tireostatici in grado di bloccare la sovrapproduzione; nel caso di morbo di Plummer si procede con un intervento chirurgico per esportare il nodulo tossico.

Alcune malattie della tiroide non derivano propriamente da alterazioni ormonali, anche se spesso ne presentano i sintomi. Le tiroiditi, per esempio, sono provocate da infiammazioni della tiroide, con conseguente ingrossamento del collo e gozzo. A volte, come nella tiroidite subacuta di De Quervain (malattia generata da un virus), si manifestano anche febbre e mal di collo.

Sempre più frequente, specialmente tra le donne, è la nascita di noduli tiroidei: a volte si tratta di semplici cisti, mentre in altri casi danno vita a tumori maligni di vario tipo (papillare, follicolare, anaplastico). Nella maggior parte dei casi, comunque, questi carcinomi non sono altamente maligni e la possibilità di curarli è molto elevata.
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domenica 27 gennaio 2013

IL DOVERE DI RICORDARE


La scelta della data ricorda il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche dell'Armata Russa, nel corso dell'offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca di Oświęcim (maggiormente nota con il suo nome tedesco di Auschwitz), scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo l'orrore del genocidio nazista.

Il 27 gennaio il ricordo della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebreo, è celebrato anche da molte altre nazioni, tra cui la Germania e la Gran Bretagna, così come dall'ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005.

In realtà i sovietici erano già arrivati precedentemente a liberare dei campi, Chełmno, e Bełżec, ma questi campi detti più comunemente di "annientamento" erano vere e proprie fabbriche di morte dove i prigionieri e i deportati venivano immediatamente gasati, salvando solo pochi "sonderkommando".

Tuttavia l'apertura dei cancelli ad Auschwitz, da dove 10-15 giorni prima i nazisti si erano rovinosamente ritirati portando con sé in una "marcia della morte" tutti i prigionieri abili, molti dei quali morirono durante la marcia stessa, mostrò al mondo non solo molti testimoni della tragedia, ma anche gli strumenti di tortura e di annientamento del lager (anche se è doveroso riportare che due dei forni crematori situati in Birkenau I e II furono distrutti nell'autunno del 1944).

In Italia, sono ufficialmente più di 400 le persone insignite dell'alta onorificenza dei Giusti tra le Nazioni per il loro impegno a favore degli ebrei perseguitati durante l'Olocausto.
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venerdì 25 gennaio 2013

LO SCATTO POSSIBILE


Non c’ero e quindi, non potendo “annusare” l’aria che si respirava, non posso esprimere giudizi sulla serata di ieri al teatro Regina Margherita di Racalmuto. Per  farmi solamente un’idea, mi affido all’articolo di Salvatore Picone su Malgrado Tutto. Una serata e un teatro definiti “freddi”. Nessuna colpa da attribuire ad alcuno. I Commissari hanno fatto gli onori di casa, gli spettatori, eterogenei hanno assistito alla rappresentazione del “Giorno della civetta”, regia di Fabrizio Catalano, tratta dal racconto di Leonardo Sciascia. Le Autorità presenti hanno visitato i luoghi dello scrittore di Racalmuto, manifestando l’intenzione di collegare questi ad altri luoghi siciliani di interesse artistico culturale. I vertici militari presenti. Le forze dell’ordine  rimaste inoperose. Ma su questo non avevamo dubbi. 

Alla fine della serata  il “Capitano Bellodi” , nella vita l’attore Sebastiano Somma, ringrazia i racalmutesi per l’accoglienza riservata alla compagnia di artisti, ed  esprimendo un pensiero comune, si dice vicino alla cittadinanza, pressata da un periodo difficile, concludendo con parole di vicinanza , di solidarietà e di incoraggiamento per Racalmuto. Tutto quello che di positivo si pensa di fare  per il paese deve essere considerato apprezzabile, quanto meno nelle intenzioni. 

Forse abbiamo “vissuto” ieri un’occasione mancata: la visita del Ministro Anna Maria Cancellieri e del Presidente della Regione Sicilia Rosario Crocetta. Reputo che personalità di tale importanza possano ulteriormente testimoniare la voglia che tutti abbiamo di risollevare le sorti di Racalmuto e garantire la vicinanza delle Istituzioni, dello Stato. 

La mia sensazione è che tanto si voglia fare per aiutare questa comunità e forse manca la coesione giusta, quel legame o collante che saldi assieme persone e idee, un’organizzazione appropriata che sappia indirizzare e tradurre buoni propositi in azioni tangibili. “Il più grande peccato della Sicilia è quello di non credere nelle idee”, queste le parole di Sciascia. 

Che non accada proprio qui, in questo nostro paese. Che siano idee vive, condivise e si insista nel seguirle e nel metterle in atto. Mi riferisco  a tutti i racalmutesi, ovunque siano e qualunque attività o professione svolgano. Questo è un momento particolarmente difficile, delicato dove nulla deve infrangersi in pretestuosi ragionamenti o distorte interpretazioni. Gli attuali amministratori, che ripetiamo, hanno il compito di traghettare la comunità verso la legalità, appianando negatività  che insistevano sull’ente, lasceranno una comunità pronta, si spera, a muovere sulle proprie gambe. La direzione deve essere unica, scevra da pregiudizi e pronta al libero e leale confronto. Ma proprio da ciò deve scoccare quella scintilla di orgoglio  che possa produrre quello scatto possibile.

Racalmutese Fiero
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giovedì 24 gennaio 2013

CIBO SPAZZATURA E BAMBINI: INFLUISCE SULL’ INTELLIGENZA


I bambini che mangiano regolarmente il cosiddetto cibo spazzatura ed eccedono anche con le bibite gassate, rischiano di avere un quoziente intellettivo più basso della norma. A sostenerlo è la Goldsmiths University of London. Inoltre, secondo una ricerca della New York University pubblicata su Pediatrics, anche l’obesità causa una diminuzione delle capacità di calcolo, di astrazione e di linguaggio. Non solo: per un corretto sviluppo delle attività cognitive è fondamentale l’alimentazione già nei primi 24 mesi, come ha recentemente confermato uno studio della University of Adelaide. “I bambini devono mangiare pesce, frutta e verdura, legumi, latte e derivati” consiglia la dottoressa Margherita Caroli, pediatra, consulente dell’Unione europea, temporary advisor dell’Organizzazione mondiale della sanità, nonché former president dell’European Childhood Obesity Group. Niente cibi preconfezionati, allora, né caramelle e altri vizietti: “L’amore verso i figli non lo si dimostra rimpinzandoli, ma attraverso le coccole, il gioco e lo stare insieme”.

Dottoressa Caroli, sembra proprio che il cibo spazzatura influisca non solo sulla salute dei bambini, ma anche sullo sviluppo delle loro capacità cognitive. C’è un rapporto così stretto tra alimentazione e intelligenza?

“Il rapporto tra cibo, corpo e mente è molto complesso e trovo azzardato sostenere che il cosiddetto cibo spazzatura influisca direttamente sulle capacità cognitive. Certamente può portare a malattie cronico-degenerative come l’arteriosclerosi, oltre che all’ipertensione e all’obesità. Al contrario, alimenti sani come frutta e verdura con il loro potere antiossidante rallentano l’invecchiamento precoce delle cellule. Bisogna aggiungere, inoltre, che il junk food è generalmente povero di ferro, minerale direttamente coinvolto nei processi di astrazione, calcolo e memorizzazione”.

Lo studio della Goldsmiths University evidenzia come la qualità dell’alimentazione dei bambini è determinata dal livello socio-economico delle loro famiglie: a uno status più alto corrisponde cibo più genuino, al più basso cibi precotti e ipercalorici. La spiegazione è che i genitori meno privilegiati hanno meno tempo per cucinare. Ma ci vuole davvero così tanto per cucinare un piatto buono e sano per i propri figli?

“In genere, ma non sempre è così, i genitori più colti e benestanti sono più attenti a ciò che ‘mettono dentro’ ai loro figli e non solo a ciò che ‘mettono addosso’: leggono le etichette dei maglioni così come quelle alimentari e hanno un livello culturale maggiore, che permette di decodificare meglio i messaggi pubblicitari. Non è vero, però, che costa molto, come tempo e come denaro, preparare piatti buoni e gustosi, e lo dico non solo da pediatra e da nutrizionista, ma anche da cuoca. I cibi preconfezionati bisogna comunque andarli a comprare al supermercato e poi cucinarli. Con molto meno tempo si può fare un sugo o un piatto di pennette con le verdure. Oppure si possono preparare i legumi: si fanno una volta e poi si congelano per mangiarli anche successivamente”.

Secondo la ricerca della University of Adelaide, l’alimentazione dei bambini nei primi due anni incide sullo sviluppo dei tessuti cerebrali. In particolare vengono consigliati l’allattamento al seno e cibi sani come legumi, formaggi, frutta e verdure. È così?

“Su questo non ci sono dubbi, l’alimentazione nei primi due anni ha effetti permanenti sullo sviluppo del bambino. E non solo per quanto riguarda le carenze, ma anche per gli eccessi: l’eccesso di proteine conduce all’obesità, quello di grassi saturi porta invece a una minore efficienza delle cellule cerebrali, epatiche e muscolari, per non parlare di un eccesso generale di cibo, che altera le abitudini alimentari. Per quanto riguarda i cibi consigliati nei primi due anni, aggiungerei il pesce e al posto dei formaggi inserirei il latte e tutti i suoi derivati per l’importante apporto di calcio. A quell’età, i bambini non hanno invece bisogno di caramelle, cioccolato e bibite gassate: l’amore si dimostra non rimpinzandoli, ma coccolandoli e giocando con loro”.

Voi pediatri, giustamente, insistete molto sulla qualità dell’alimentazione e sull’attività fisica dei bambini. Ma è possibile anche curare il loro sviluppo cognitivo?

“Giocando insieme a loro, rispondendo in maniera adeguata ai loro tanti interrogativi, non pensando che la tv possa sostituirsi ai genitori e leggendo loro dei libri. C’è un bellissimo progetto per promuovere la lettura ad alta voce ai bambini già a partire dai 6 mesi: si chiama Nati per leggere e ha un sito dove i genitori possono trovare tanti consigli. Se i bambini si avvicinano alla lettura da piccoli, poi lo faranno autonomamente crescendo: da tablet o dai libri non importa, l’importante è che amino leggere”.

Dott.ssa Margherita Caroli
Pediatra
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mercoledì 23 gennaio 2013

TARSU, FONDI ANAS E PIANO REGOLATORE


Salta la visita del Ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri, per improrogabili impegni di governo. A Racalmuto e, nello specifico, al teatro Regina Margherita, saranno presenti il Presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta e il Presidente dell’assemblea regionale, Giovanni Ardizzone. 

Questo l’annuncio, in conferenza stampa, dei Commissari, dottor Emilio Saverio Buda, dottor Enrico Galeani, dottor Filippo Romano. 

Durante la seduta sono stati affrontati altri temi di interesse generale: la TARSU, il cui costo a carico del Comune sarà diminuito del 10% e in seguito il servizio verrà assorbito dall’ente comunale. I FONDI ANAS, che verranno impiegati per le scuole di Racalmuto, il teatro Regina Margherita e per un progetto turistico con conseguente rivalutazione del territorio. Il PIANO REGOLATORE che, a breve, sarà approvato dalla Commissione prefettizia. 

Racalmutese  Fiero
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lunedì 21 gennaio 2013

MELE E PERE


Cammino per strada e, involontariamente ,“capto” il discorso tra due signori  fermi a parlare: “ I ragazzi di oggi hanno tutto… e non sono mai contenti!”. Mi rimane nell’orecchio l’eco di quella frase intanto che cammino. Che i ragazzi avessero tanto l’ho pensato anch’io,  tante volte. Ma, poi, riflettendoci, ho capito che non è proprio così.

Una giovane e tenera pianta necessita di cure amorevoli, di attenzioni. Necessita di essere seguita da vicino, di continuo,  se vogliamo che cresca sana e forte. Non possiamo abbandonarla alle intemperie sperando che se la cavi da sola. Potrebbe spezzarsi. Dobbiamo, poi, stare attenti e estirpare le erbacce che le crescono attorno. Non possiamo delegare ad altri questo compito, perché è nostra la responsabilità morale e perché potremmo correre il rischio di non raggiungere i risultati sperati o di ritrovarci con “altri “ risultati. Certo tutto questo implica  dedizione, sacrificio. Tempo. L’Amore, ovviamente,  è sottinteso.

I ragazzi sono inquieti, vivono il loro  tempo, o meglio, vivono il tempo così come noi glielo trasmettiamo. Tempo di inquietudini. Incertezze. Sono disorientati perché non hanno modelli  chiari a cui riferirsi,  in balia di tante cose. Bisognosi di punti fermi. I più deboli soccombono. I più forti si costruiscono una corazza e vanno avanti. Non sapremo mai  cosa c’è di interessante, unico, sotto quella corazza. Si apriranno solo a chi, loro, riterranno affidabili.

Chissà, però, se non abbiamo una parte di colpa in tutto questo. Il modello” famiglia”, così com’ è oggi, entra in discussione.I tempi odierni ci “occupano” sempre di più e ci portano ad avere sempre più impegni “esterni”. I figli vengono affidati, se fortunati, ai nonni, oppure a babysitter, asili, che li accudiscono. Quando poi crescono un po’, spesso, rimangono a casa, anche da soli.

Materialmente,   hanno tanto, troppo a volte. Hanno anche  tante cose che non hanno mai desiderato. E penso quanto sia  triste avere cose che non si é mai avuto il desiderio di avere. Di desideri, di sogni dovrebbero, invece, averne tanti perché nella nostra vita sono come l’arcobaleno, colorano,  e danno un senso ai nostri giorni. Sono stati  colmati di oggetti, tecnologia, capi di abbigliamento firmati…Ma, il dare cose materiali, forse, è stato un modo per mettere la coscienza a tacere per quell’affetto, quel tempo, che non abbiamo saputo o potuto  dare loro o perché assenti o perché troppo stanchi o perché incapaci tout court. E allora da qui il bisogno di compensare. Li abbiamo “occupati” con altro. L’ultimo gioco  elettronico, l’ultimo modello di cellulare, lo scooter…

Confondere il ”dare affettivo”  con il ”dare materiale”  per compensare  una carenza ha portato  nella famiglia  ad uno spostamento del  proprio baricentro. Se è vero che ad ogni azione corrisponde una reazione non possiamo meravigliarci. I ragazzi  si sono vaccinati. Hanno sviluppato, loro malgrado, una autonomia dalla famiglia. Si organizzano con gli amici con cui solidarizzano e fanno “famiglia”. E così, quell’intesa, quella complicità, quel legame affettivo , che  si dovrebbe consolidare tra genitori e figli, si sposta, instaurandosi  principalmente tra compagni di sventura. Il concetto di Rigore e Autorevolezza scade.   A casa,  ognuno impara a sbrigare le proprie cose, per conto proprio, autonomamente. Non ci si dà neanche più fastidio. Sembra tutto perfetto. Tutto organizzato e programmato. Peccato che le emozioni, i sentimenti  gli affetti non si possano programmare! Chiediamoci quante volte li abbiamo ascoltati, seguiti, incoraggiati, consolati,  rimproverati. Se hanno chiesto aiuto e abbiamo sminuito  l’importanza della richiesta non prestando la dovuta attenzione. Se eravamo troppo stanchi per ascoltare. Se eravamo altrove per sapere che avevano bisogno di noi. Di un nostro semplice abbraccio.  Ad ogni azione una reazione. Ti chiedono una volta, ti chiedono due volte. Poi, non chiedono più.  Non cercano più. Ti giri e sono già grandi .  E si scocciano di tutto. Mancano momenti di condivisione importanti.Chissà, se ci rendiamo veramente conto di quello che hanno o non hanno i ragazzi!
Barattare il “dare affettivo” con il “dare materiale” è come sommare mele con pere.

                                                                                                                  Brigida Bellomo

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domenica 20 gennaio 2013

LA FACCENDA DEGLI A.S.U.


Da mercoledì, 16 gennaio, i lavoratori A.S.U. del Comune di Racalmuto sono tornati in servizio. La notizia, che vede coinvolte tante famiglie, non può che farci piacere. Il Comune di Racalmuto farà recuperare loro le ore che non sono state assolte a causa della sospensione dall’attività. Ci sembra superfluo ricordare che i lavoratori socialmente utili sono stati e continuano ad essere a carico della Regione e quindi, il Comune di Racalmuto, così come tutti gli altri enti che hanno in organico tali lavoratori, non hanno l'onere di provvedere alle loro spettanze. 

La faccenda degli A.S.U. o L.S.U., investe però un problema più importante; ovvero la discriminata, a suo tempo, introduzione di tali lavoratori presso le strutture. Adesso il paese, in senso nazionale, si trova, in periodo di crisi economica ed occupazionale, ad avere notevoli esuberi di forze lavorative. Di contro, la politica passata, fondata sul clientelismo e sul meccanismo delle facili promesse, ha permesso una enorme quantità di lavoratori precari che, pur di ottenere un posto di lavoro, anche a scadenza, si rendevano disponibili a sostenere ora questo ora quel candidato di qualunque schieramento politico. 

Altro fatto importante, la stabilità di tali lavoratori in un particolare momento di congiuntura nazionale che vede, nel nostro caso, la Regione Sicilia, gravata da un pesante debito. Ci immedesimiamo con quei lavoratori che vivono una situazione di precarietà ansiosa anche da venti anni e che, ad ogni scadenza di contratto, trepidano per il loro diritto al lavoro. Tanto si deve ancora fare in questo comparto così delicato. Per evitare che tra qualche mese si possa ripetere quanto accaduto con i lavoratori precari del Comune di Racalmuto sospesi per mancanza di fondi regionali.

Racalmutese Fiero
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sabato 19 gennaio 2013

CARTELLA DELLE VALUTAZIONI POLITICHE SULL’UTILIZZO DEL TERRITORIO IN ZONA INDUSTRIALE.

Riceviamo, da parte di Carmelo Mulè, una lettera indirizzata alla Commissione prefettizia. Tratta un argomento importante, il P.R.G del territorio di Racalmuto. Problema interessante che investe molti cittadini.


                                                                          



Spett.le Commissione del Comune Racalmuto

Il P.R.G., nella parte che interessa la zona industriale, è ormai scaduto da oltre venti anni. Ora, volendo lasciare da parte i commenti, che andrebbero fatti, al fine di snellire il ragionamento, sarebbe stato giusto, a suo tempo, quando si è conferito l’incarico di revisione, bloccare qualsiasi attività edificatoria nell’area interessata ed assegnare un breve tempo di sei mesi per lo svolgimento dei lavori di revisione del piano.

Ciò non si è fatto e quindi il piano continuò ad essere operante, nonostante tutte le aree adibite alle attrezzature fossero ritornate, per legge, alla loro originaria destinazione, cioè agricola.

Lasciare operante il P.R.G. nelle sole aree adibite a strutture, in assenza delle aree suddette, di fatto rende l’intero strumento squilibrato. Infatti, su alcune particelle che hanno riacquistato la caratteristica della ruralità, si sono rilasciate licenze edilizie con edificabilità agricola con residenza o sono state destinate ad altro.

La mancata zonizzazione, inoltre, e la volontà politica hanno fatto sì che in molte zone agricole sorgessero opifici di carattere artigianale, commerciale o di ricezione; cosa alquanto singolare che apre un vero e proprio conflitto, in termini di interesse privato, tra chi oggi deve pagare l’ IMU, perché possiede terreni in area industriale e che di fatto ha utilizzato le zone agricole per costruire le proprie aziende.

Messe fuori dal mercato, dunque dall’utilizzo agricolo, le aree industriali restano zavorra per chi le possiede, oggetto di contenzioso, gravame per l’economia familiare in favore delle casse dello Stato, del Comune e di quei cittadini e tecnici che hanno fatto profitto con le aree agricole.

Allo stato attuale, la costruenda strada 640 stravolge ancora una volta gli assetti di quel territorio, mettendo in discussione la destinazione urbanistica futura di tutta la zona in questione, oltre ai restringimenti, del piano stesso, che per motivi tecnici e politici devono essere necessariamente operati; con il conseguente fatto che i proprietari terrieri, domani, si troveranno con migliaia di euro spesi in IMU e con una proprietà che, forse, non avrà nessuna possibilità di produrre reddito adeguato.

Altra trascurata questione riguarda la molto spezzettata proprietà fondiaria, composta in maggior misura di piccoli appezzamenti che mai potrebbero essere utilizzati in proprio se non accorpati da un piano complessivo di lottizzazione che il comune avrebbe dovuto e potuto adottare, con l’aggravante che in molti di essi insistono fabbricati rurali storici al servizio dei fondi e fabbricati edificati con l’indice agricolo o addirittura abusivamente e oggetto di sanatorie successive, le quali creano ancor di più una disparità oggettiva tra chi, nel rispetto delle norme, non ha costruito e chi in dispregio delle stesse oggi si ritrova in una situazione di privilegio.

Regolari licenze edilizie che pongono il cittadino al riparo da ogni conseguenza, ma che creano nel tempo situazioni di arricchimento per alcuni e di impoverimento per altri, per non parlare dello stato di confusione che ne deriva, per il sol fatto di ritrovare una abitazione, anche stagionale, nelle immediate vicinanze di un’attività industriale, non v’è dubbio che una delle due dovrebbe non esserci: tutto ciò si può solamente appellare in un modo “dissennata politica del territorio”.

Le dovute correzioni devono essere immediate; se ciò non avviene ne deriverà un dispendioso ricorso al contenzioso e una continua lacerazione dei rapporti sociali fra le parti in causa.

Carmelo Mulè Segretario cittadino U.D.C.

                                                                                
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giovedì 17 gennaio 2013

UNNI VA CU LU SCECCU


Si erano trovati quasi per caso, nei loro occhi c’era qualcosa, un brillio strano e bello; erano uomini maturi ma parlavano con l’entusiasmo di giovani immortali e sicuri che avrebbero cambiato il mondo.

Per la verità il loro obbiettivo era molto più umile: approfittando di un fatto eccezionale  che aveva investito il loro paese, avrebbero voluto cogliere quell’occasione per preparare un nuovo futuro. Il loro impeto sincero e senza interessi li portava a credere che era necessario e doveroso fare qualcosa per i compaesani e soprattutto per quei giovani che vivevano rassegnati e senza prospettive per il loro futuro.

Pensavano di sollecitare le forze giovanili e l’esperienza dei più anziani, coinvolgendoli nella creazione di una nuova politica per il paese che amavano, erano convinti che il cambiamento fosse possibile, che il vecchio modo di fare politica era ormai superato dalla storia. Niente più nepotismo dicevano, mai più politica a fini e interessi personali, pensavano a un nuovo sistema trasparente di governare che coinvolgesse i cittadini, i quali devono essere i veri protagonisti, ai quali niente può essere nascosto, una democrazia compiuta e partecipata.
 
Facevano questi conti quegli amici,  ma li facevano senza l’oste. Divide et impera. Questa fu la strategia dell’oste e i risultati non tardarono ad arrivare; chi se ne frega pensarono i più impavidi, noi ci rivolgeremo ai giovani, sono loro la forza propulsiva della nostra comunità.

Ma dove sono i giovani in questo paese, hanno veramente le capacità che noi gli attribuiamo o sono in tutt’altre faccende affaccendati? Quando il vecchio vince sul nuovo semplicemente perché il nuovo non esiste, la speranza di cambiamento è impossibile e diventa un lusso che non ci si può permettere.

Mi ricordo all’improvviso dell’immutabilità delle cose nella nostra terra, dell’impossibilità di trovare interlocutori disposti a discutere con la mente libera da pregiudizi e convinzioni assolute e immodificabili. La nostra è una comunità complessa a volte anche un poco contorta, figlia di un retaggio antico che ci porta inevitabilmente a pensare che nessuno fa niente per niente e quindi... .

Ineluttabilmente siamo figli del nostro tempo, oggi l’impegno politico può essere confuso con qualcosa che con la politica non ha niente a che vedere, se non crediamo che fare politica significhi spirito di servizio nei confronti della comunità alla quale si appartiene.

Ho tenacemente creduto che scrivere, esprimere le proprie idee e suggerire alternative, potesse essere, virtualmente, un luogo in cui fare convergere le opinioni; una specie di camera di compensazione dove tutti in maniera disinteressata potessero arricchire la propria visuale per un nuovo modo di porsi e fare politica.  Temo di essere stato un povero ingenuo e che le cose non erano come credevo. Ormai tutte le ideologie sono crollate, a livello nazionale la gente volge lo sguardo disperato verso nuovi pifferai che promettono di cambiare tutto senza dire con cosa vogliono sostituirlo. A livello locale altri, con linguaggio improvvisamente più erudito, ci dicono di non parlare al conducente; sono rimasti solo gli uomini con i loro bisogni, con i loro interessi, con le loro ambizioni, e allora, meglio rintanarsi egoisticamente nel proprio guscio.

I Racalmutesi oltre alla crisi generale sono pesantemente colpiti da un dissesto locale che sta massacrando le famiglie, la promessa che nessuno avrebbe perso il lavoro, forse, non è stata mantenuta mettendo in grave difficoltà molte famiglie, alla tassa raddoppiata della spazzatura si è aggiunta l’IMU al 10,5%, adesso una nuova mazzata sembra abbattersi sulle già scarse risorse delle famiglie con cartelle che riportano cifre esorbitanti  riguardanti il pagamento della spazzatura inerente le case di campagna.

I cittadini hanno raggiunto un grado di esasperazione intollerabile e in molti non sanno più cosa fare. Probabilmente organizzeranno la protesta e  la disperazione della gente, spiegheranno loro che a comandare ci sono degli “ORCHI” famelici venuti da lontano che vogliono il sangue dei Racalmutesi, “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur ”, nessuno spenderà una sola parola per spiegare come si è giunti ad una situazione di questo tipo, nessuno lo farà mai in un paese dove: “la migliore parola è quella che non si dice”,  non resta che abbracciare questa filosofia di vita arrendendosi all’evidenza di una mentalità storica immutabile, e se qualcuno volesse fare altro?  Mi viene in mente Don Luigino che in questi casi avrebbe detto: “Ddo, unni va cu lu sceccu”?

                                                                                                                Roberto Salvo



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mercoledì 16 gennaio 2013

L’ EDUCAZIONE SENTIMENTALE


Uno dei lati positivi dell’insegnamento è senz’altro lo stare a stretto contatto con i ragazzi. Mantiene giovani, attivi, vitali, motivati, inevitabilmente aggiornati su molte cose. Se non si è tanto “distratti” si è testimoni diretti del periodo più intricato, problematico, sorprendente, meraviglioso della loro vita:  la loro crescita fisica, intellettuale, sentimentale. Un privilegio ma anche, per chi la sente, una grande responsabilità.
Si tratta di adolescenti e quindi esseri in divenire.  In loro vi è, in nuce,  l’adulto di domani. La personalità  “affiora”nei comportamenti ma, anche, nelle  omissioni e fragilità.
Stare tra i banchi insieme a loro significa condividere anche le loro inquietudini. I ragazzi, se hanno qualche problema, si aprono con chi veramente pensano meriti la loro fiducia, chi sentono che  li ascolta con attenzione e interesse. Quando qualcosa li turba allora si confidano. Parlano.
Il turbamento però, a volte, è anche dell’insegnante.
Capita di sentirsi raccontare dalle ragazze(ma anche qualche ragazzo ne è coinvolto), che,  per il fatto di stare insieme con il loro” amato”, non devono vedere più  gli amici,  non devono parlare più con questo o con quello, a prova e dimostrazione del loro AMORE.  Devono dare passwords varie di cellulari, profili  facebook  e quant’altro. Questo,  su espressa richiesta dell’amato. Alcune, sopportano,” per amore”, anche maltrattamenti fisici.
L’amore diventa quindi un sentimento “a togliere”. Togliere amici,  togliere libertà,  togliere dignità,  ecc…Questa sembrerebbe essere la “normalità” dei tempi. Non scandalizza per niente e le ragazze  accettano  questo dato di fatto. Molte,  per un tale comportamento, trovano anche giustificazioni che fanno mettere le mani ai capelli solo a sentirle. Un bella pietra tombale sull’emancipazione femminile, se mai c’è stata.
Faccio allora una riflessione  a voce alta: se una ragazza, oggi,  si mette assieme ad un ragazzo, ne diventa proprietà? Una ragazza cerca  qualcuno che  la faccia sentire amata, che la renda felice e le dia conferme di quanto importante, unica,  lei sia per l’altro. Qualcuno che le faccia palpitare il cuore al solo pronunciare  il suo nome. Oppure, cerca un padrone, un tiranno, che decida per lei dove deve andare, se deve andare, con chi   deve andare? La prima cosa che  a me viene in mente da dire, in questi casi,  è: “ scappa, fuggi senza perdere tempo e senza guardare indietro. Fuggi mille miglia lontano”. Nella  memoria ancora gli echi  di fatti veramente tragici e  orribili con protagoniste ragazze.
Trattandosi di sentimenti e di sentimenti di adolescenti il terreno è molto delicato e va affrontato adeguatamente.
Ma, come si devono gestire i sentimenti?  Vi è una chiara incapacità e carenza nel gestirli. Molti ragazzi pensano che stare soli è da “sfigati”. Orribile parola, che ha preso piede e viene usata largamente. Quindi è meglio stare in coppia e farsi maltrattare. Con buona pace della dignità, del rispetto, dell’ amor proprio e della propria autostima. Il concetto di libertà diventa relativo. Che tipo di rapporto ne viene fuori? Di fiducia reciproca? Come far acquisire  la consapevolezza  che alla base di tutto vi è innanzitutto il  rispetto della propria persona e quindi la non negoziabilità della propria dignità? Esigenza primaria, quindi, è quella di migliorare la  capacità di riconoscere, gestire e sviluppare i sentimenti.
Come soggetti abbiamo ricevuto varie Educazioni ma, tra queste, nessuna traccia di quella sentimentale.  Le famiglie in genere appaiono impreparate e a volte non si rendono neanche conto di quale sia la realtà. A scuola non è prevista. I ragazzi, nel doposcuola, frequentano palestre, scuole di calcio, scuole di danza, conservatori. I genitori sono ben contenti di assecondarli in queste inclinazioni. Chissà, ne potrebbero venire fuori sportivi, atleti, musicisti, artisti di primo piano. Fanno benissimo. Ma, l’esigenza di dare loro un’educazione sentimentale chi l’avverte? L’esigenza di essere un individuo maturo anche dal punto di vista dei sentimenti, l’educazione a sentire i sentimenti e a non stravolgerli con un controllo eccessivo. Ecco, pensiamoci un po’ su e cerchiamo di far nascere e coltivare questa esigenza.
L’esigenza di non  confondere il Possesso con l’Amore.

                                                                                                               Brigida Bellomo
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martedì 15 gennaio 2013

“CI SONO PERSONE CHE SANNO TUTTO E PURTROPPO E’ TUTTO QUELLO CHE SANNO” (Oscar Wilde)


Due citazioni che trovano un collegamento univoco; “l’attimo fuggente”, il film da cui è tratta la frase “oh capitano mio capitano”. Un carpe diem comune. Ma cosa vuol dire : “cogli l’attimo?” A prima vista si tende a dare un significato che mira a cogliere tutto quello che possiamo, ad approfittare di ogni istante, ogni situazione anche fuori dalle regole, dagli schemi prestabiliti, dai conformismi.

Se scendiamo ancor più nel dettaglio, non solo del “carpe diem” ma anche “dell’attimo fuggente” e del “oh capitano mio capitano”, ci accorgiamo che stiamo parlando di unione di intenti, collaborazione, scardinamento di vecchi sistemi. L’avanzare collettivo contro le ingiustizie, le avversità, le storture, gli approfittatori di situazioni facilmente carpibili in contesti non efficienti. L’individuazione, prima, di un percorso unico che miri a raggiungere l’obiettivo. Un percorso di crescita, insomma, che dovrebbe portare alla percezione di ciò che scandisce la vita di ogni individuo.

Quel carpe diem che insegna a cogliere in tempo quanto la vita ha da offrire in modo concreto, senza bruciarla in effimere azioni o illusorie promesse. L’affermazione di una libertà conquistata e mai messa al servizio di oscuri progetti. Un’indipendenza intellettiva, culturale che affermi la vittoria morale sull’ipocrisia, sull’oscurantismo della sensibilità. Indipendenza che non scaturisce, a tutti i costi, dall’essere colti, “intellettuali”, come ormai spesso leggo e sento un po’ dappertutto, quando si parla di Racalmuto e di uomini.

E, per dirla con Oscar Wilde: “Ci sono persone che sanno tutto e purtroppo è tutto quello che sanno.” Una frase che relega, quanti vogliono farci credere di essere condottieri esclusivi, in più terrene condizioni, che dovrebbe essere da stimolo e che possa portare tutti a balzare in piedi e affermare il diritto alla libertà, all’indipendenza, alla condivisione non di un attimo fuggente ma di tutta un’esistenza, per un futuro prossimo e, ancor più avanti, dei nostri figli. Figli di una terra che ha bisogno di ritrovare i valori, l’identità e la fiducia.

Così da poter reagire, senza timore alcuno, alle parole di Orazio che precedono il carpe diem: “mentre parliamo, il tempo invidioso sarà già passato”. Ponendo, quindi, in primo piano la libertà nel gestire la nostra vita ed essere responsabili del nostro tempo, del nostro destino.

Racalmutese Fiero
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lunedì 14 gennaio 2013

NON SEMPRE IL FINE GIUSTIFICA I MEZZI


Il ragionamento dell'anonimo del 12 gennaio, ore 21,00 su Castrum, “FELICE RITORNO” e che per la verità non credo si tratti assolutamente di osservatore non assiduo, è molto condivisibile.
C'è un problema di fondo però, che concerne il concetto di volontariato e di clientela, forma quest'ultima becera e meschina di fare politica, modalità purtroppo nota e diffusa ovunque poichè trova il suo humus e la sua forza nei bisogni della gente contraccambiati con il voto.
C'è sempre il rischio che anche dietro apparenti attività sociali, volontarie e gratuite, si nasconda sempre il fine ultimo "dell'assalto alla poltrona".
E' vero, bisogna analizzare la storia di ognuno e nell'analisi va incluso il dato, non di poco conto, dell'umiltà dell'uomo - autore di attività sociali, umiltà che si constata facilmente nell'assoluto diniego delle autocelebrazioni, del porsi su una bilancia in contrapposizione alle attività degli altri,nel sapere valorizzare le azioni altrui e non screditarle sempre a priori,ma soprattutto nel non rivendicare e a tutti i costi ricercare i meriti delle azioni per tenere la scena, altrimenti il fine nobile del volontariato non esiste.
Avere un nitido concetto di volontariato deve necessariamente inglobare queste silenti azioni comportamentali che tracciano la linea netta di demarcazione da ogni altra azione che, seppur volontaria e gratuita, è finalizzata a qualcosa di diverso dal fare bene sociale che di solito un uomo onesto e serio non deve mai farne motivo di vanto personale. Potremmo fare il tipico esempio del libero professionista in generale che nel prestare a disposizione degli altri, dei clienti, la propria opera intellettuale gratuitamente, in periodo elettorale va poi a richiedere il voto a quei singoli clienti che hanno usufruito della prestazione gratuita; appare ovvio che seppur di fronte ad un’ opera volontaria e gratuita siamo di fronte ad un qualcosa che non ha nulla a che vedere con il volontariato e l'essere benefattore.
Altra cosa è l'azione di chi, in forma assolutamente silenziosa e senza secondi fini, volontariamente svolge attività di utilità sociale  all'interno degli ospedali, nelle case per anziani, nelle comunità incontro, nelle chiese garantendo la socializzazione genuina dei giovani.
Sono attività che non fanno notizia e di cui gli autori mai e poi mai ne fanno motivo di vanto o di dimostrazione del proprio impegno sociale e ben che mai utilizzate per un ritorno elettorale.
A Racalmuto ci sono persone, giovani che quotidianamente svolgono attività di volontariato di ampio, AMPISSIMO respiro sociale e volutamente preferiscono rimanere nel nobile silenzio perchè schifati e sdegnati certamente da chi puntualmente, dopo avere svolto attività dall'apparente risvolto sociale, non lesinano a pretendere il pubblico ringraziamento, e che se tarda ad arrivare o non gli viene riconosciuto, non disdegnano il facile rito di puntare il dito contro quelli, anche intellettuali, che guardano il tutto dal balcone, espressione assai ricorrente per rimarcare l'importanza delle proprie azioni frutto di autocelebrazione con ovvie finalità politiche-elettoralistiche.
Il fare bene sociale per definizione non è cosa da servirsene come dimostrazioni o prove per accreditarsi la patente di capacità di gestione politica della res pubblica; concetto che certamente non appartiene a chi la pensa come l'anonimo di cui sopra, convinto che il tutto, anche le attività apparentemente con risvolti sociali, possano essere motivo di distinzione da chi magari preferisce starsene a guardare dal balcone pur di non sporcarsi l'anima nel mistificare le buone azioni sociali con l'intimo intento delle finalità politiche.
Vanno apprezzati,elogiati quanti stanno lontani dal mondo nobile del vero volontariato allorquando hanno deciso di spendersi in politica, perchè ogni azione volontaria nobile e genuina rischierebbe di essere sporcata dal fine ultimo politico elettoralistico che purtroppo la storia degli ultimi 60 anni ci dice che è meno nobile del vero volontariato davvero gratuito e davvero nobile nettamente distinto e abbondantemente distante da quell'apparente volontariato usato come mezzo per raggiungere il fine politico.
Non sempre il fine giustifica i mezzi, e certamente il mezzo dell'uso del concetto di volontariato non giustifica il fine prettamente politico- elettorale.
Clientela e populismo regnano sovrani allorquando ci si convince che le apparenti buone azioni sociali, il propagandare le proprie attività di ampio respiro sociale sminuendo o denigrando quelle altrui pur d'esaltare le proprie, ovviamente dimostrano la mancanza di quell'umiltà a cui faccio riferimento sopra, umiltà e onestà di pensiero che sono carenti allorquando si pensa di potere prendere in giro la gente nascondendo dietro le azioni sociali il fine ultimo della politica.
Non sarà un caso se la risposta di Castrum Racalmuto Domani al commento anonimo  tiene a puntualizzare con le virgolette il termine cristallina, così come non sarà un caso se dinanzi coloro i quali si vantano di avere fatto e fare buone azioni sociali di ampio respiro, la gente non ne riconosce assolutamente il nobile fine sociale.

                                                                                            VOLUTAMENTE ANONIMO

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domenica 13 gennaio 2013

LA CELIACHIA NEI BAMBINI: I CONSIGLI DEL PEDIATRA


La diagnosi di celiachia non è facile da accettare. Dopo un primo momento di sollievo per essere giunti ad una diagnosi dopo un certo numero di esami, medici consultati e una sintomatologia per lo più intestinale fastidiosa e con scarso accrescimento, ci si trova di fronte a una situazione completamente nuova che modifica l’organizzazione di tutta la famiglia e che crea ansia e preoccupazione. Sì, perché la diagnosi di celiachia, che non si può considerare in senso stretto una malattia, rappresenta una condizione che prevede una serie di cambiamenti alimentari e di cambiamenti relazionali tra i componenti della stessa famiglia (e tra loro e gli altri), che sembrano insormontabili.

Pare di vivere in un sogno in cui tutto ciò che hai faticosamente conquistato dal punto di vista alimentare, e non solo, viene messo in discussione e obbligatoriamente modificato. Non è una scelta di vita a cui si decide di aderire, è una tegola che ti stordisce e a cui devi reagire. Infatti è dal modo in cui il genitore riuscirà a superare questo traumatico momento e a gestire insieme alla famiglia questo cambiamento che dipenderà anche la serenità e quindi la maggiore o minore aderenza alla dieta dei piccoli pazienti.

Ma affrontiamo un problema alla volta:

lo sbigottimento: la celiachia è una condizione cronica, quindi che caratterizzerà tutta la vita di un figlio. Ciò preoccupa nell’immediato, ma visto in prospettiva sembra una condizione autolimitante per il bambino. In realtà, quegli adulti a cui la diagnosi è stata fatta in età infantile, quando la famiglia riesce a creare un ambiente sereno e collaborativo, vivono bene la loro limitazione perché riescono a crearsi i loro spazi alimentari e a gestirli dentro e fuori casa.

la conoscenza: la celiachia richiede un po’ di studio e di applicazione. È necessario da subito cambiare le abitudini alimentari del piccolo che inevitabilmente coinvolgeranno anche quelle della famiglia. A questo riguardo è estremamente utile consultare il sito dell’Associazione italiana celiachia, dove si trovano tutte le informazioni utili per i “neo-diagnosticati”. Così apprenderemo anche che andranno destinate delle stoviglie alla cottura degli alimenti privi di glutine (con particolare attenzione ai cucchiai di legno) e riorganizzata la dispensa in modo che i piccoli non possano accedere a ciò che potrebbe fare loro male.

informare gli altri: la celiachia non è una condizione che può essere nascosta come a volte avviene per altre malattie croniche. Prima di tutto i nonni e poi gli zii, la scuola ed infine gli amici devono essere informati. Molti, soprattutto i più anziani, non capiranno come un cucchiaio di legno usato per la pasta di grano non debba essere usato anche per il riso, ma dovranno essere informati pazientemente dai genitori ed aiutati a non commettere errori. Ovviamente questo risulta più facile quando si osserva un netto miglioramento della sintomatologia del bambino, meno se i sintomi sono più sfumati. È necessario coinvolgere tutti, ed in questo essere convincenti, con lo scopo comune di far stare bene il bambino. Gli amici in genere sono quelli più collaborativi e che si rendono subito disponibili, soprattutto nelle feste tra bimbi.

informarsi sulla normativa: a seguito della diagnosi del medico specialista, il celiaco ha diritto ai prodotti dietetici senza glutine, indispensabili per la sua dieta, rigorosa ed irreversibile. Può, quindi, ritirare prodotti nelle farmacie, pubbliche e private, nei supermercati e nei negozi specializzati, fino al raggiungimento di un tetto di spesa mensile secondo quanto previsto nella regione e a volte nel comune in cui si risiede. Questo è un buon aiuto considerando che i prodotti senza glutine sono abbastanza costosi.

reinventarsi la cucina: con questa diagnosi ai fornelli bisogna avere fantasia o farsi suggerire (i siti non mancano) dei nuovi piatti gustosi e graditi ai piccoli e in questo le mamme sono imbattibili. La famiglia impara a condividere molti dei piatti preparati per i piccoli e a conoscere nuovi sapori. Attualmente il numero di prodotti privi di glutine presenti sul mercato è notevolmente alto. In questa ricerca del gusto più adatto al bambino, è bene non demoralizzarsi e provarne più tipi. Sicuramente si troverà quello più adatto al palato del bambino, senza però dimenticare che solo la ripetizione dell’assaggio crea l’accettazione di nuovi alimenti.

Molti anni sono passati da quando la celiachia veniva considerata una malattia rara. L’impegno delle associazioni, dei medici, dell’industria alimentare hanno reso sempre meno difficile la vita alimentare del celiaco. È la vita emotiva e relazionale che deve essere sempre più salvaguardata, non si tratta di una malattia in senso stretto, ma di una condizione che può permettere una vita serena e senza troppe difficoltà.

Preoccupiamoci molto, allora, del clima che riusciremo a creare intorno ai piccoli e conduciamoli per mano verso l’adolescenza. Ciò che avviene nell’adolescenza sarà bene affrontarlo a suo tempo, infatti la coscienza di sé rimette in campo nuove problematiche, con serenità, o con il sostegno di uno psicologo, riusciremo a superare anche questa fase delicata.

Dott.ssa Marina Cammisa
Pediatra
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